San Paolo. «L'affondamento pianificato è avvenuto nel tardo pomeriggio di venerdì, a circa 350 km al largo della costa brasiliana nell'Oceano Atlantico, in un'area con una profondità approssimativa di 5.000 metri». Con questo scarno comunicato ieri la Marina brasiliana ha annunciato di avere affondato l'ex portaerei francese Foch, acquistata dal Brasile nel 2000 e da allora ribattezzata São Paulo. Un acquisto fallimentare, visto che la struttura della nave era composta di amianto (9,6 tonnellate), vernici tossiche, metalli e oli pesanti, diossine e contaminanti nucleari pericolosi (in tutto altre 644 tonnellate). Per questo la si doveva smantellare e, invece, è stata fatta implodere ai margini della Zona Economica Esclusiva. «Un crimine quasi perfetto. L'alibi che sarebbe comunque affondata, questa la giustificazione di Brasilia, non è infatti verificabile e comunque le riparazioni potevano essere fatte nel porto di Suape, nello Stato di Pernambuco», denuncia l'ong Robin des Bois, aggiungendo che «la licenza di esportazione dell'ex-Foch del 2000 specificava che le condizioni per lo smantellamento della portaerei São Paulo dovevano essere preventivamente autorizzate dalle autorità di Parigi. In un certo senso, dunque, la Francia è complice di questo disastro deciso e posto in essere dal Brasile». Il Brasile «ha compiuto un grave crimine ambientale in mare», ha detto Jim Puckett, direttore dell'ong Basel Action Network mentre, in una nota congiunta, Greenpeace e Sea Shepherd hanno fatto sapere che l'affondamento causerà danni «incalcolabili» all'ambiente, con «impatti sulla vita marina e sulle comunità costiere».
In realtà il Brasile aveva tentato di risolvere il busillis della nave contaminata con il cantiere navale turco Sok Denizcilik, che nel 2021 aveva ottenuto dalle autorità di Ankara l'autorizzazione al trasporto per lo smantellamento dell'imbarcazione. Non appena la notizia venne fuori, però, l'organizzazione ambientalista Izmir Yasham Alanlari, rilasciò un comunicato durissimo: «La nave che sta arrivando a Smirne è una bara nera, carica di morte, distruzione, dolore e guai. Secondo l'articolo 13 della nostra legge ambientale, l'importazione di rifiuti pericolosi è vietata. Viene ad inquinare l'aria, l'acqua e il suolo del nostro paese, ma soprattutto la nostra bella gente, solo per guadagnare qualche soldo. Le scorie nucleari provenienti dallo smantellamento delle navi da anni continuano a diffondere malattie nel centro della città di Smirne e, sebbene non ci sia rimedio a quanto già fatto, non accettiamo lo smantellamento della São Paulo perché non vogliamo che si creino altre nuvole mortali sui nostri spazi abitativi».
Ora l'affondamento indotto del São Paulo induce a più di una domanda. È possibile che la Marina brasiliana abbia voluto eliminare qualsiasi problema che poteva sorgere se, durante lo smantellamento, si fosse scoperto che vi erano ancora tracce di radiazioni nello scafo? Già perché negli anni 60 la ex Foch partecipò a molte esercitazioni nucleari in Polinesia e, in un articolo pubblicato nel novembre 2022 in Brasile, era stato rivelato che molti marinai transalpini che avevano partecipato alle sue missioni in Polinesia avevano poi chiesto risarcimenti allo stato francese tramite l'"Associazione dei veterani dei test nucleari.
Inoltre, qualche giorno fa, il gruppo saudita Sela aveva inviato al Ministero della Difesa verde-oro un'offerta per rilevare lo scafo della São Paulo in cambio di oltre 5 milioni di euro. Offerta respinta così come inutili i tanti SOS lanciati nei giorni scorsi dalle ong ambientaliste al presidente Lula.
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