Non fosse l'anno della pandemia di Covid, gli sforzi della politica inglese ed europea sarebbero ora rivolti verso un unico tema, la Brexit. Perché nonostante siano passati 10 mesi dall'uscita del Regno Unito dall'Ue, costellati di incontri bilaterali, videoconferenze, dichiarazioni accomodanti e velate minacce da ambo le parti, non si è ancora giunti a un accordo sulla futura relazione economica tra Londra e l'Unione. Le due parti rimangono immobili, ciascuna nell'attesa che sia l'altra a fare la prima mossa. Mancano 32 giorni alla fine del periodo di transizione, alla scadenza del quale il Regno Unito non verrà più considerato parte del mercato unico europeo. A un mese dal divorzio economico tra Londra e Bruxelles quello politico si è già consumato a gennaio non si conoscono quali saranno le regole che verranno applicate alle merci e ai servizi in transito sulla Manica. Nel caso di non accordo, secondo il governatore della Banca d'Inghilterra Bailey, il danno all'economia inglese sarebbe molto più grave e duraturo di quello causato dalla pandemia.
E così, con il tempo agli sgoccioli, il caponegoziatore europeo Barnier ha cominciato nel fine settimana a Londra l'ennesimo round negoziale nonostante qualche giorno prima avesse espresso dubbi sull'utilità di proseguire. Ed è stato affiancato da Stephanie Riso, una delle principali consigliere della presidente della Commissione Europea, von der Leyen. Obiettivo: aiutare a ricucire le divergenze tra le parti e infondere rinnovato vigore a una trattativa che dopo un periodo di relativo ottimismo si è arenata in un pessimistico immobilismo. Gli inglesi interpretano positivamente l'arrivo di Riso leggendolo come il tentativo della Commissione di spronare e aumentare la pressione su Barnier, le cui ultime uscite sono state condite da un malcelato disfattismo. Il ministro degli Esteri inglese, Raab, ha dichiarato ieri che si entra nell'ultima vera settimana decisiva delle negoziazioni, che un accordo con l'Europa rimane possibile a patto che Bruxelles dimostri pragmatismo. Difficile tuttavia ipotizzare che Riso possa cambiare qualcosa nella dinamica del dialogo. Le parti hanno raggiunto molti punti di contatto, ma rimangono divise sui consueti 3 temi fondamentali che da mesi castrano ogni possibilità di accordo: gli standard economico-sociali-ambientali e i sussidi alle imprese, dove la divergenza consiste nel considerare le leggi europee il punto di riferimento anche per il regime inglese; il meccanismo per la risoluzione delle future dispute sull'accordo, che Bruxelles vuole consegnare nelle mani della Corte di Giustizia Europea, eventualità cui Londra si oppone; l'accesso alle pescosissime acque territoriali inglesi da parte dei pescherecci europei, con il Regno Unito che offre quote minori rispetto alle attuali e una revisione annuale della ripartizione, soluzione avversata da Bruxelles che vorrebbe mantenere lo status quo. Un problema, quello della pesca, che riguarda un settore che pesa lo 0,1% dell'economia inglese. Un'inezia che evidenzia ancor di più come tutti i 3 punti di divisione siano essenzialmente politici, e che non potranno essere risolti dall'ennesimo commissario aggiunto.
Londra chiede di essere considerata uno stato sovrano cui l'Ue non può applicare le sue regole, Bruxelles vuole far valere il suo maggiore peso economico. Il Times ha riferito di una telefonata in programma nei prossimi giorni tra Johnson e von der Leyen, smentita da Downing Street. Se non è stata ancora messa in agenda è il caso di cominciare a pensarci.
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