Il brindisi del capo dello Stato che teme la chiamata per il bis

Oggi compie gli anni: "Eccoci, siamo all'ultima curva". Contrario al doppio mandato: "Non siamo un regno"

Il brindisi del capo dello Stato che teme la chiamata per il bis

«Eccoci, siamo all'ultima curva», sospira brindando con i suoi consiglieri. Del resto basta sfogliare il calendario per capire l'aria che tira: oggi il capo dello Stato compie ottant'anni, la settimana prossima nei giardini del Quirinale si congederà dai giornalisti, il tre agosto scatterà il semestre bianco e quindi non potrà più sciogliere le Camere e a febbraio 2022 scadrà il suo incarico. Ma davvero siamo all'ultima curva? O ci sarà un bis? Chi può dirlo? Certamente non può dirlo Sergio Mattarella. Fosse per lui, nessuna proroga. Il presidente è «culturalmente» contrario al secondo mandato, e l'ha pure spiegato in pubblico. «Questa è una Repubblica, non un regno» e «sette anni sono un'era geologica». Però stavolta la scelta non dipende solo da lui. Come starà il Paese a gennaio? Quante riforme avrà fatto partire Draghi? Quale sarà l'equilibrio politico nel 2022? Siamo sicuri sicuri che i partiti non saliranno sul Colle per chiedergli di restare? Almeno un po', fino alle elezioni dell'anno successivo? È già successo nel 2013 con Giorgio Napolitano, può capitare ancora. Chissà.

Sarebbe, secondo molti punti di vista, una soluzione perfetta: Mario Draghi, che ha il suo da fare con la giustizia, i capricci grillini e il Recovery Plan, rimarrebbe a Palazzo Chigi per completare il lavoro, cioè mettere l'Italia in sicurezza sanitaria ed economica, e Mattarella proseguirebbe nella sua funzione di stabilizzatore istituzionale gradito all'estero fino al termine della legislatura. Aveva cominciato in sordina. Siciliano taciturno, schivo, un anti-Pertini, ignoto al grande pubblico, eletto quasi per caso. Oggi è un presidente pop, acclamato come un cantante rock: dalla foto nel deserto di piazza Venezia in piena pandemia all'esultanza da tifoso a Wembley al gol di Bonucci, passando per la sicura gestione di crisi politiche difficilissime. Gialloverdi, giallorossi, ne ha visti e domati di tutti colori.

Un'icona. La gente lo ama, al momento forse soltanto Donnarumma lo sopravanza nelle classifiche di gradimento. Chi meglio di lui? Un altro anno e mezzo, come King George, poi si vedrà, i candidati non mancano. Anche se le politiche del 2023 potrebbero consegnare uno scenario differente all'attuale e un nome per il Colle corrispondente a un eventuale nuovo equilibrio. Ma sei mesi sono tantissimi, impossibile fare previsioni.

E infatti dal Quirinale hanno scelto un profilo bassissimo, rasoterra. «Chiacchiericcio, ricostruzioni giornalistiche senza riscontri», questo è il commento all'ipotesi di un bis per cause di forza maggiore, «salvapatria». La linea ufficiale resta quella di febbraio scorso, quando Mattarella si tirò fuori dalla corsa citando il suo predecessore Antonio Segni, che voleva introdurre nella Costituzione «la non rieleggibilità immediata del presidente della Repubblica». Quindi, sostengono, no, il capo dello Stato non vuole, non ci pensa. Il suo tempo «sta per scadere». Bisogna dire che gli stessi umori filtrerebbero pure in caso contrario, se davvero stesse coltivando l'idea. Tatticismo, voglia di non finire per sei mesi in un frullatore, attesa degli sviluppi, convinzione vera: forse dietro c'è un po' di tutto.

Piuttosto, c'è un'altra intuizione di Segni, ricordata nel discorso di febbraio, sulla quale dal Colle vogliono riaccendere i riflettori, e cioè la proposta di cancellare il semestre bianco. La norma fu introdotta nel 1947 dai padri costituenti per evitare che i capi di Stato uscenti brigassero per essere rieletti facendo delle pressioni indebite sul Parlamento. Ora questo pericolo non esiste più, semmai sarebbe sufficiente introdurre il principio della non rieleggibilità. Però rimane l'amputazione del principale potere del presidente, sciogliere le Camere in caso di necessita. Di fatto tra un paio di settimane Mattarella avrà le mani legate e i partiti potranno scatenarsi e scontrarsi senza paura di essere rispediti a casa, con possibili ricadute sulla stabilità del governo. Legge Zan, riforma della giustizia, reddito di cittadinanza, immigrazione, non mancano i possibili terreni di battaglia.

Certo, Draghi sembra fortissimo e nessuno ha la forza e la convenienza di aprire una crisi adesso. Però il Quirinale disarmato apre comunque un ombrello sull'esecutivo e invoca «senso di responsabilità» perché se stavolta va male non ci saranno «vantaggi politici» per nessuno.

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