La sbrigativa, spesso impudente e inconcludente polizia spagnola lo liquidò come suicidio. Si trattava di una straniera, un'italiana, caso poco interessante per loro. De resto ne muoiono tanti di turisti in vacanza nelle spiagge iberiche.
Era il 3 agosto 2011 quando Martina Rossi precipitò dal sesto piano dell'hotel Sant'Ana a Palma de Maiorca. Aveva appena vent'anni, era in vacanza con delle amiche.
Lì avevano fatto conoscenza con dei ragazzi di Arezzo. Oggi, sei anni dopo, i magistrati italiani dicono che non era andata così, Martina non si lanciò nel vuoto per farla finita. No, precipitò tentando di scavalcare il balcone per sfuggire a chi voleva stuprarla.
Abitava a Genova, a riaprire l'inchiesta era stata la procura del capoluogo ligure: troppi punti oscuri, racconti inverosimili, a cominciare da quello di una cameriera dell'albergo che parlava di cose che non poteva aver visto. E poi l'insistenza dei genitori della vittima, degli avvocati trasformatisi in investigatori per scoprire cosa fosse davvero successo quella notte. Con anni di lavoro la nostra polizia e i magIstrati hanno scritto una storia diversa. Lo scorso 25 novembre il Secolo XIX, raccontando di come la giovane avesse trascorso le ultime ore della sua vita con due amiche e quattro coetanei di Arezzo, aveva anticipato questa notizia che adesso si è concretizzata con il rinvio a giudizio di due ragazzi italiani: le amiche di Martina, Alessia e Isabella, si appartarono in una stanza al primo piano dell'hotel insieme con due aretini, Federico Basetti ed Enrico D'Antonio. Lei, per non disturbare, salì nella camera 609 insieme con gli altri due toscani. Si chiamano Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi, oggi hanno 25 e 26 anni: secondo gli inquirenti, che hanno intercettato e più volte interrogato chi si trovava lì, i due avrebbero tentato di abusare di Martina. La ragazza provò a fuggire scavalcando il balcone verso un'altra stanza ma sarebbe scivolata cadendo nel vuoto. Ecco perché sempre Albertoni e Vanneschi adesso dovranno rispondono di morte come conseguenza di altro reato e tentata violenza.
Fondamentale, per indirizzare l'indagine, l'idea degli agenti italiani di piazzare una microspia nella saletta in cui i due aspettavano di essere interrogati. Era il febbraio 2012: quando il primo tornò per far entrare l'altro, sussurrò una frase illuminante sulla presunta assenza di segni di un tentato stupro. Anche se di stupro con loro i poliziotti non avevano fatto cenno.
Ecco la svolta. L'inchiesta, per competenza, era passata ai magistrati di Arezzo, visto che i sospettati risiedono a Castiglion Fibocchi.
E ieri è arrivata la decisione del gup che davanti ai legali e ai genitori di Martina ha accolto la tesi del procuratore di Arezzo Roberto Rossi: la ragazza sarebbe morta per scappare dai due che volevano «divertirsi».
Un verità che lascia ancora più amaro in bocca.
Basta ascoltare le parole del papà della vittima, Bruno: «È stato fatto un passo avanti. Adesso bisognerà affrontare i problemi che rimangono e che sono grossi. Sarà un lavoro ancora più complicato».La prima udienza è stata fissata per il 13 febbraio 2018. E il processo si prevede lungo.
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