La caduta nei sondaggi spaventa i cinque stelle

I dirigenti: quando lo schema non è «Beppe contro tutti» siamo penalizzati

Giampiero Timossi

Roma Il frinire di manette non li aveva scalfiti. Anzi, aveva lanciato il Movimento Cinque Stelle, nei sondaggi pre-elettorali e nella prospettiva per nulla remota di diventare il partito più votato dagli italiani. Ed essere dunque, in qualche modo, la forza destinata a governare il Paese. Ora, attanagliata dalla quotidiana necessità di governare città come Roma, Torino o Livorno, l'armata di Beppe Grillo evidenzia tutte le proprie lacune, e inizia a calare nei sondaggi.

L'indagine demoscopica chiedeva agli intervistati quale partito voterebbero alla Camera se si andasse ora alle urne. Il Pd torna il primo partito con il 28,5% , conquistando un più 1,3 rispetto a marzo. Scende invece il Movimento, che passa al 27,5, perdendo 1,3 punti percentuali rispetto a due mesi fa. Così racconta il sondaggio di Demos per l'Atlante Politico pubblicato ieri da Repubblica, con dati che rilanciano al 13,3 Forza Italia (più 1,8%) e portano al 12,9 la Lega Nord (più 2,3%).

Ma perché la musica è cambiata in casa Cinquestelle? O meglio nell'elettorato potenziale di Grillo? L'accostamento con le manette si era fatto strada negli ultimi giorni del gennaio scorso, con la voce sempre più insistente che Virginia Raggi, sindaca di Roma, sarebbe stata sottoposta a una misura di custodia cautelare per l'inchiesta che la vede indagata e che su richiesta della Procura della Capitale aveva portato all'arresto di Raffaele Marra, capo del personale comunale. Il 26 marzo la voce era diventata decisamente insistente, così dal Campidoglio si era fatta trapelare la voce che la sindaca sarebbe stata «pronta a congelare a carica per due mesi fino a quando tutto non venga chiarito». Ipotesi impossibile, almeno per due mesi. Ed ecco che il 10 febbraio arrivava la voce che «i magistrati sarebbero pronti a interdire per due mesi Virginia dai pubblici uffici». Voce che la Procura né smentiva né confermava, ma che non creava nessun problema politico al movimento di Grillo.

In quei giorni, per un istante, i sondaggi sembravano frenare la corsa pentastellata. Ma la tendenza fu decisamente fugace. E la propaganda del M5S efficace: contro «le manovre della magistratura», contro le «ingerenze politiche delle toghe» e contro la «stampa, che continua ad avere un atteggiamento decisamente diverso verso un altro sindaco indagato, il renziano Sala a Milano». Così con un post di Beppe Grillo, un tweet di Luigi Di Maio, un sorriso triste di Virginia Raggi, o una sparata di Alessandro Di Battista, ecco che gli elettori dimenticavano le incapacità governative dei grillini. E il Movimento riprendeva a correre, fino a diventare il primo partito italiano.

«A noi premia l'uno contro tutti, non c'è nulla da fare, è questa la nostra natura», sussurrano ora i marescialli romani di Grillo. «Io non so perché lo faccia, ma certo è che Massimo D'Alema racconta spesso di parlare e confrontarsi con Di Maio», dice Pippo Civati, deputato e segretario di Possibile.

Poi aggiunge: «Credo abbia anche cercato di avere una sua influenza nella formazione della giunta Raggi, ma a quanto ne so non c'è riuscito». Possibile che l'ex leader Massimo ci stia riprovando. Per capirlo, forse, basterà aspettare il prossimo sondaggio.

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