La pressione giudiziaria sulla Lega resta alta. L'indagine della Procura di Milano che ha portato ai domiciliari Alberto Di Rubba, ex presidente della Lombardia Film Commission e direttore amministrativo della Lega al Senato, Andrea Manzoni, revisore contabile alla Camera, l'altro commercialista Michele Scillieri e suo cognato continua a disseminare ostacoli sull'ultimo miglio della campagna elettorale. Matteo Salvini, però, sembra ormai abituato a fare i conti con questi fattori esterni. «Non sono preoccupato semplicemente perché non c'è alcuna ragione per esserlo. Ho piena fiducia nella magistratura, non sono tutti Palamara», è il leit-motiv del segretario leghista. Che aggiunge: «Sono tranquillissimo, sono anni che cercano i soldi in Russia e in Svizzera, in Lussemburgo, San Marino, Liechtenstein e non trovano niente, perché gli unici soldi la Lega li chiede agli italiani attraverso i contributi volontari e con quello che versano tutti i mesi i suoi parlamentari». Giancarlo Giorgetti, a sua volta, manifesta fiducia verso gli indagati. «Conoscendoli io ho fiducia in loro e ho fiducia nella giustizia».
L'ipotesi di fondi neri a favore del Carroccio, una provvista utile per il finanziamento delle campagne elettorali, non trova riscontri negli atti giudiziari così come non sono state individuate tracce di movimenti di denaro verso le casse leghiste. Secondo l'accusa, attraverso un'operazione immobiliare gonfiata, 800mila euro di fondi regionali sarebbero stati in parte intascati dal «gruppo» di commercialisti vicini al Carroccio e in parte si sarebbero dispersi in altri rivoli. E uno degli elementi che emerge dalla rogatoria in Svizzera avviata dai magistrati starebbe nel ruolo di una fiduciaria panamense con una base nel Paese elvetico. Negli interrogatori resi finora da Luca Sostegni, il presunto prestanome che sta collaborando con i magistrati milanesi, gli inquirenti hanno posto anche domande sulla destinazione finale di parte della provvista dell'affare immobiliare. Sostegni, però, ha chiarito che lui si è occupato come prestanome solo di una parte delle transazioni, quelle già individuate nelle indagini, e che le operazioni, anche quelle a lui sconosciute, erano guidate dal commercialista Michele Scillieri.
Nel frattempo Roberto Calderoli si affretta a smentire un incontro serale con gli indagati a fine maggio: «La cena per quel che mi riguarda non c'è mai stata. Io a maggio non sono mai uscito a cena con nessuno. Uscire a cena non è niente di preoccupante, ma non c'è stata. Una bufala». Poi arriva una nota dal Palazzo di giustizia, che rimescola le carte. «La Procura di Milano precisa che, nel corso di quell'incontro, non era attivo alcun captatore informatico», scrive il procuratore Francesco Greco. Quindi, nessun trojan utilizzato dagli investigatori.
Non un dettaglio visto che sul perimetro dell'utilizzo di questo strumento di discute molto e ieri l'avvocato Coppi ha rilevato che l'uso dei trojan può essere utile, ma a condizione che sia usato in maniera corretta. Salvini, invece, continua il suo tour de force elettorale. Con un unico obiettivo: ricostruire, al netto delle inchieste, quella relazione speciale con il suo elettorato incrinata dal lockdown.
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