Cara collega meglio una risata che una «storia»

Cara collega anziana,

io e te siamo come le nostre scrivanie. Che si toccano ma restano divise dal separé di vetro: aladinica barriera trasparente da sfregare come una lampada magica. Peccato però che, con uno sbuffo di vapore, a materializzarsi non sia mai il genio, ma il solito cretino. Cattivo consigliere per entrambi. Così si spiega la tua lettera d'«amore» che sembrava scritta da una Erica Jong dei poveri o - se preferisci - da una Liala dei ricchi; così si spiega questa mia risposta, che ti risulterà autorevole quanto un «Rapporto Masters e Johnson» rieditato da Alvaro Vitali. Della tua epistola, agile e sintetica quanto un'articolessa domenicale di Eugenio Scalfari, salverei solo l'inizio e la fine. Esordisci con un gratificante «guardarti è bello, ma toccarti è meglio» (...)

(...) e concludi con un inquietante «forse sono frigida. Se mi vuoi è così».

Ti dico subito che questa tua - presunta - frigidità non mi preoccupa, sono infatti strenuo assertore del principio RoccoSiffrediano secondo cui «non esistono donne frigide, ma solo uomini incapaci».

Sono felice che tu abbia notato i miei «muscoli eleganti e fermi», anche perché la palestra GimTonic ha aumentato i prezzi e un abbonamento annuo ormai mi costa quanto una vacanza con Silvy Lubamba (sperando che alla fine non mi freghi pure la carta di credito). Non hai neppure mancato di apprezzare il mio «grande gluteo», e qui un pizzico di preoccupazione mi sovviene: cosa vorrai mai farci con questo mio «grande gluteo»?

Fin qui la «testa» e la «coda» del tuo scritto. Ma veniamo al «cuore» del messaggio. E qui casca l'asino. Perché da riga 5 a riga 110 sei riuscita a descrivermi come un recordman della banalità social-affettiva. Dando di me, peraltro, un'immagine falsa e tendenziosa: una specie di bellimbusto, logorroico, insicuro e vagamente senza palle. Un ritratto tanto infamante che sarei quasi tentato di rivolgermi all'avvocato Annamaria Bernardini de Pace per querelarti. Ma tra colleghi (anche se tu sei una «capa» e io un «sottoposto») non ci si combatte a colpi di carta bollata, ma a colpi di spettegolamenti (meglio se alle spalle). Del resto la nostra azienda, come tu ben sai, non è un posto di lavoro qualsiasi, ma un covo di pazzi furiosi. E tu, nella tua lettera, hai dimostrato di esserlo pienamente. E di esserti salvata dal manicomio, solo grazie alla legge Basaglia.

Sostieni che io, in una eventuale relazione con te, mi sentirei a disagio perché guadagno meno di te e sono più giovane di te. Ma tu, scusa, sei cresciuta, sentimentalmente parlando, a pane e «Grand Hotel»? Ti informo che il mondo è cambiato e che al posto dei fotoromanzi ora c'è Chi . Rilassati, cara collega, e lascia che i nostri ormoni facciano il loro cammino naturale. Se poi decideranno di far tappa su un letto (ma anche i sedili posteriori di un'auto andrebbero bene lo stesso), lasciali fare.

Per facilitare il flusso della reciproca libido, ti suggerirei però di astenerti dal seguitare a fare dietro la tua scrivania (e quindi a pochi centimetri da me) alcune cose che mi ammosciano non poco. Qualche esempio? Metterti il rossetto facendo la boccuccia a culo di gallina (il massimo, per un'oca come te); tirarti su le calze (non è colpa mia se hai le gambe secche e le autoreggenti scendono per mancanza di girocoscia); metterti a frignare ogni volta che leggi qualcosa di «commuovente»; fare gli occhi dolci al collega sindacalista solo perché ti ha escluso, momentaneamente, dalla lista dei prepensionabili; uscirtene con quella maledetta frase: «Vado a fare pipì...», come se io morissi dalla voglia di sapere cosa vai a fare, esattamente, in bagno. Ma per smontare il sottoscritto ci vuole ben altro. Tu, confessiamolo, non sei bellissima, ma ogni volta che ti guardo ti rivaluto, pensando alla saggia frase di un mio (nostro) vecchio caporeparto che diceva: «Ho conosciuto di meglio, ma ho scopato di peggio. Anche pagando...». No, non «pagando» sul piano della morale o del senso di colpa. Ma «pagando» proprio nel senso di mettere mano al portafoglio. Ora lungi da me l'idea di offenderti (?) retribuendo una tua prestazione sessuale, ma l'idea dei «giochi di ruolo» mi ha sempre eccitato. Tu che in azienda sei la mia «capa» (lo ripeto così ti senti realizzata), per un giorno potresti (dovresti e, ti assicuro, ne godresti) trasformarti nella mia sottoposta (in tutti i sensi). Solo a queste condizioni accetterei la tua corte ferrata (nel senso di un collare borchiato), portandoti al guinzaglio per la nostra alcova.

Dove potremmo scatenarci? Ma in cucina, ovviamente. Hai presente la scena nel film Il postino suona sempre due volte , col tizio che ci dà dentro alla tizia sul tavolo sbuffante di farina? Bene, scordatela. Meglio non esagerare.

Il tuo collega giovane

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