Ogni anno lo stesso imbarazzo e lo stesso incubo. La strage di Bologna del 2 agosto 1980 è stata dichiarata, non soltanto per via giudiziaria, ma anche per via ideologica, un delitto di matrice fascista e guai a chi si azzarda a metterne in discussione l'origine, sostenendo magari che non si capisce assolutamente perché e con quale vantaggio degli ipotetici fascisti avrebbero commesso un crimine tanto efferato quanto inspiegabile. La carneficina è sempre stata indagata in maniera incompleta ed ideologica, senza che alla fine si sia riusciti a dare le risposte che i cittadini della Repubblica chiedono. Gli stessi cittadini che vorrebbero sapere per quale preciso motivo fu assassinato Giovanni Falcone con Paolo Borsellino e per quali obiettivi Aldo Moro fu rapito, torturato e interrogato dopo l'uccisione della sua scorta, per essere poi giustiziato in un modo e in un luogo tuttora ignoti.
Per la strage di Bologna furono condannati all'ergastolo due noti terroristi neofascisti, Fioravanti e Mambro, già all'ergastolo e fieri dei delitti commessi, ma che hanno dichiarato in modo molto convincente di non sapere nulla del delitto. Il presidente della Repubblica Francesco Cossiga, che aveva rapporti molto stretti con il mondo dell'intelligence, mi disse che la strage avvenne a causa di un difetto della sicura della valigia contenente l'esplosivo. Ma perché la stazione di Bologna? Nessuno ha saputo trovare un senso politico, né fascista, né anarchico, motivo per cui i poveri morti sono tali per un evento inspiegabile. E del resto l'etichetta «matrice fascista» è una delle più versatili, quando non si trova la verità. Ma guai a dirlo, perché si incorre immediatamente nella furia scatenata di un sistema che comprende anche i parenti delle povere vittime (così come è successo con i morti di Ustica), che sono pronti a linciare a coprirti di insulti e trattarti praticamente come un complice della matrice fascista, di cui però non si trova traccia né ragione. Un esempio pratico. Un'inchiesta indipendente condotta dai ricercatori Paolo Pelizzaro e Gabriele Paradisi, ha portato ad alcune scoperte che poi non hanno avuto seguito giudiziario. La prima fu quella della presenza a Bologna nel momento della strage del terrorista esperto in esplosivi Thomas Kram. Questo Kram era l'armiere della banda del più grande terrorista attivo sul teatro europeo: Ilich Ramirez Sanchez, più noto come Carlos lo Sciacallo, che oggi sconta il carcere a vita a Parigi. Come Presidente di commissione d'inchiesta mi capitò di rintracciare un documento ufficiale della Stasi, il servizio segreto della Germania dell'Est, in cui si certificava che Carlos nel 1984 aveva compiuto una decina di attentati in Francia e uno anche in Italia. Il riferimento è all'incomprensibile attentato al treno Rapido 904, detto «Il treno di Natale», in cui morirono 16 innocenti e che, anch'esso fu subito definito di matrice fascista. Dei neofascisti furono condannati e il documento della Stasi totalmente ignorato.
Così come fu totalmente ignorato ciò che il Procuratore generale della Repubblica ungherese disse a noi della Commissione parlamentare sull'attività di Carlos all'epoca del delitto Moro. Secondo il Procuratore i servizi segreti ungheresi avevano nomi e prove delle attività dei Brigatisti Rossi incorporati nella banda guidata da Carlos, su disposizione russa e tedesca, coinvolti nella più grave vicenda nella storia della Repubblica: il rapimento, la tortura e le confessioni estorte ad Aldo Moro.
Su Bologna c'è poi anche la cosiddetta pista palestinese che i magistrati e le associazioni politiche hanno respinto sempre con grande sdegno ma che ha i suoi elementi concreti: nell'Italia in cui il cosiddetto «lodo Moro» consentiva sul suolo italiano azioni di guerriglia e di violenza da parte di vari gruppi arabi e in particolare di una delle componenti dell'Olp con cui lo stato italiano intavolò una vera trattativa, che secondo alcuni fu brutalmente interrotta con le stragi di Ustica e di Bologna.
L'aspetto più triste della storia del terrorismo in Italia è che per ciascun crimine inspiegabile è stata scritta una narrazione perfetta che non contiene mai la verità. Questa narrazione stabilisce che cosa si debba dire, pensare e commentare. Chi si permette di dubitarne in maniera razionale viene immediatamente bruciato sul rogo ideologico. Chi scrive non ha solo 60 anni di giornalismo sulle spalle ma ha anche vissuto la poco edificante avventura di presiedere una commissione d'inchiesta sulla quale non sarebbe una cattiva idea aprire una commissione d'inchiesta. Voglio dire che le fatidiche guerre per procura in Italia tra potenze straniere, servizi segreti e agenzie, del Medio Oriente, dell'Unione Sovietica prima e della Russia di Putin dopo, ormai sono tagliole insanguinate su cui occorre fare estrema attenzione. E invece la semplice ricerca della verità, il famoso elogio del dubbio tanto caro a sinistra, sono ormai considerati delitti di revisionismo.
E mentre le autorità dello Stato si adeguano alle sentenze, ed altro non potrebbero fare, tocca a noi artigiani del mestiere della cronaca e delle connessioni occulte, seguitare a fare il nostro mestiere, seguitare a dubitare, criticare, andare controcorrente, impedire che la pagina venga girata prima che sia interamente letta. È un orrendo lavoro, scomodo e deriso, oltre che dannatamente pericoloso, ma qualcuno lo deve pur fare.
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