Caro convivente,
Tenacia, sordità e cecità. E moltissima dedizione. Queste sono state le mie priorità. Ti ho voluto, a ogni costo. Senza promesse né gesti solenni da parte tua. Ti amavo e basta.
Non ti voglio parlare però di sentimenti, perché tu mi guardi esterrefatto ogni volta che accenno a ipotesi emotive di qualsiasi genere. E allora passiamo ai fatti, forse più comprensibili al tuo cervello computerizzato, alla tua anima insonorizzata.
Ti ho voluto anche quando mi dicevi «quest'estate me ne vado da solo in vacanza»; ti ho voluto quando volevi uscire con gli amici senza di me, perché «non è obbligatorio raccontarlo agli altri che stiamo insieme». Ti ho voluto quando ho letto la e-mail della tua studentessa australiana che ti diceva quanto le eri mancato durante l'estate (mentre eri con me). Ti ho voluto, persino, quando ho scoperto che avevi nel tuo monolocale un nascondiglio solo per le mie foto, di cui ti sbarazzavi evidentemente ogni tanto per qualche visita erotica. Ti ho voluto ancora quando ho letto sul tuo cellulare i messaggini scritti a un'altra alle due di notte. E le sue risposte da troia: sapeva bene che c'ero io nella tua vita e che il nostro bambino stava per arrivare.
Ti ho voluto quando sparivi, il cellulare spento e nessuna informazione. Quando tornavi con quel profumo nauseabondo di vaniglia americana e ti buttavi sul letto farfugliando di dolori alla schiena «per quel maledetto pc». Ti ho continuato a volere anche quando, accasciato sul divano, la cravatta lanciata sulla poltrona e le scarpe sotto al tavolino, non ti accorgevi del mio nuovo colore dei capelli e, sgranocchiando patatine, restavi inebetito per ore davanti allo schermo della Tv.
Ti ho voluto sempre perché ero innamorata di te e ti volevo con me e per me al prezzo di qualunque rabbia e pianto. Da quando ti ho visto la prima volta, nell'aula del Politecnico, ho voluto con determinazione che fossi mio. Anche senza il matrimonio, che non hai mai neppure immaginato.
Ho in ogni momento anticipato nella mia mente il piacere che mi avresti dato nell'essere mio, con me e dentro di me. Ho vissuto con te una spirale autodistruttiva, pregustando e rimandando il piacere ogni volta che il dolore lo abortiva sul nascere.
Mi hai sempre tradito e non sei stato capace di rispettarmi neppure nascondendomelo. Sarebbe bastato un minimo di generosa accortezza.
Tutte queste donne non contano niente per te, forse, ma contano moltissimo per me.
Ogni volta che vuoi tradirmi tu menti, spergiuri e poi sorridi strafottente; imposti sempre la discussione sulla base di file power point, come se anche i sentimenti potessero essere contabilizzati; non capisci la mia angoscia, non mi difendi dal nuovo male. Non ti spendi mai e investi altrove. Dimostri di non avere nessun orgoglio di quello che, nonostante tutto, abbiamo costruito. Non percepisci quanto sei crudele e pur ridicolo insieme.
Arrivi fino al fondo della tua disonestà, quando poi mi abbracci o mi porti dei fiori che ormai sanno di morte. Sono sopravvissuta sino a oggi per l'energia impensabile di questo pensiero bellissimo e assurdo che era il mio amore. Maltrattato e vigoroso, disonorato e acceso. Impotente e fortissimo.
Malgrado persino la malinconica ragioneria quotidiana del nostro vivere. Io conto le infedeltà e tu conteggi ogni nostra spesa per vivere. Guadagno un quarto del tuo sostanzioso stipendio, eppure dobbiamo dividere a metà tutti i costi: il cibo, l'affitto, la benzina, il cinema, un libro, un gelato, i regali al bimbo. Il mese scorso con raccapriccio ho notato, tra le trentadue voci del nostro bilancio, da te ossessivamente compilato ogni giorno sul maledetto quadernino viola, persino i ventisei euro dei meravigliosi ellebori rosa che mi hai portato quel mercoledì: ho pagato, dunque, tredici euro il tuo più recente tradimento.
La millesima coltellata. Non il tradimento. Ma i tredici euro.
Sei altezzoso, arido e puttaniere. Per dieci anni ti sei vestito del mio amore, della mia devozione, delle mie emozioni e poi riesci a rapinarmi tredici euro per fare bella figura con me, dopo l'ennesima tua proterva porcheria, che proprio non mi merito. Ora ti vedo proprio come sei, nudo, non abbigliato del mio amore, inutile e vanesio, ossessivo e fedifrago. Non marito, non amante e neppure convivente fisso. Tu sei un «non».
La parte migliore di te l'avevo inventata io ed è sparita quando ho incontrato un uomo. Mi ha colpito la sua fisionomia. La sua voce mi ha suscitato un brivido. Di calore forse, dopo la freddezza sperimentata con te. L'ho incontrato altre volte. Mi piaceva sentirmi ascoltata, curata, compresa. Non mi attraeva fisicamente. Tu sei bellissimo. Lui è approssimativo nei lineamenti del viso e del corpo, è un po' curvo e troppo alto. Però quel brivido mi ha dato un segnale di vita vera, senza addizioni e sottrazioni. Ci siamo scambiati i numeri di cellulare. È stata l'unica volta che abbiamo parlato di cifre. Il resto è stato un viaggio nell'umanità e nella vita. Ho ricominciato a vedere e a sentire.
Lui ha l'abitudine di scrivermi sms e mi ha conquistato con i consigli, con l'attenzione alle mie parole, alle mie ansie, ai miei occhi e alle mie mani, al sole, alla pioggia, alla vita. Il mio cuore si è scongelato a poco a poco, lentamente, come una coscia di pollo rimasta troppo tempo nel freezer e riportata all'ossigeno dell'aria. Non abbiamo niente in comune, io e questo uomo. È impensabile una vita con lui. Forse è uguale a tanti uomini, a tutti gli altri, ma è l'esatto opposto di te, e mi piace, mi è piaciuto molto. L'ho anche amato intensamente, solo con i pensieri. Non c'è stata una storia, ma ci siamo amati davvero, anche se non abbiamo dato ai sentimenti un luogo in cui dimorare. Gli ho detto un giorno «non ci vediamo più». È stato molto triste. Mi è sembrato di dover chiudere una casa in cui avevamo messo tutto, anche le tazzine del caffè e i cubetti di zucchero a forma di cuore. Mi è parso di fare uno trasloco, anche se in quella casa non ci avevamo mai abitato. Ho preferito così. Una passione impossibile. Però ho potuto sperimentare cosa voglia dire il distacco. Ho imparato il senso dell'abbandono e il supplizio del vuoto nel cuore. Ho capito anche che posso abbracciarmi da sola e ascoltare con tenerezza i miei pensieri. Mi sono vista e mi sento. Non sono più né cieca né sorda. Ora so bene che posso farcela, che non muoio se qualcuno se ne va. E, tantomeno, se sono io a mandarlo via.
Non sono morta di dolore senza più quest'uomo meraviglioso. Non può succedermi niente di male se rimarrò senza di te. Stasera troverai gli scatoloni, con tutte le tue robe, fuori dalla porta. Contaci e contali tutti. Per te non ci sarò più. Addio.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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