Caro presidente Mattarella, la guerra civile non è finita

Occorre ricordare gli eccidi di "fascisti o presunti tali" come le stragi nazifasciste di Marzabotto o Stazzema

Caro presidente Mattarella, la guerra civile non è finita

Illustre Signor Presidente della Repubblica,

l'unico punto in comune che c'è fra il sottoscritto semplice giornalista e lei che è a capo dello Stato da dieci anni, è semplicemente il nostro far parte della stessa generazione, siamo nati nei primi anni '40 e questo secondo me vuol dire che abbiamo avuto, anche se a livelli diversissimi, le medesime esperienze e la medesima percezione di una nazione uscita dalla guerra, abbiamo vissuto in un Paese che conosciamo da vicino e quindi forse quanto scriverò le potrà sembrare di un qualche interesse, ancorché contestabile.

Per il suo buon senso e certi interventi che potrei definire «umani», è molto apprezzato soprattutto dai giovani e considerato una specie di «nonno d'Italia».

Ma lei come capo dello Stato ci rappresenta all'estero e si è occupato anche di argomenti internazionali che hanno avuto una notevole risonanza, per non dire scalpore: ad esempio, in un discorso a Marsiglia ha fatto il paragone - giusto, dal mio punto di vista - fra Putin che ha invaso l'Ucraina scatenando una guerra immotivata che dura da tre anni, e Hitler che nel 1939 invadendo la Polonia ha scatenato una guerra mondiale. E così provocando le ire di Mosca che ha minacciato «conseguenze», e i malumori dei putiniani d'Italia che, per ragioni a me inspiegabili, abbondano nella Destra.

In seguito, ricordando la tragedia delle foibe, dove furono gettati, spesso ancora vivi, migliaia di civili italiani incolpevoli, lei ha avuto accanto a sé il presidente attuale della nazione che all'epoca ci era confinante e che con i partigiani titini è stata colpevole di quegli eccidi e dell'esodo di centinaia di migliaia di giuliano-dalmati, invocando il superamento degli orrori di ottanta anni fa. Alla foiba di Basovizza, se ricordo bene, erravate mano nella mano.

Infine, in varie occasioni ha utilizzato i termini «riconciliazione» e «pacificazione nazionale». Se però ha sentito il dovere di usarli è perché - io penso - questa riconciliazione e questa pacificazione in sostanza non si sono ancora pienamente raggiunte, nonostante siano trascorsi decenni dalla fine di quella che non è soltanto la conclusione della Seconda guerra mondiale, ma, sono costretto a ricordare, anche la conclusione di una guerra civile che, come Giulio Cesare insegna, è la peggiore di tutte le guerre in quanto è motivata da profondi rancori politici e odi ideologici. E così fu, se lei mi consente di usare una locuzione non amata né tantomeno accettata, anche la nostra. Difatti ci sono voluti 45 anni prima che uno storico, per di più di parte comunista, come Claudio Pavone la utilizzasse per primo come titolo di un suo libro, Una guerra civile, Bollati Boringhieri, 1991.

E posso aggiungere a questo punto alcune considerazioni che mi auguro non scandalizzeranno nessuno, e che si collegano alle parole da lei scelte anche quando incontrò un presidente straniero? Dopo una guerra civile, se infine si è concordi su questa definizione, una riconciliazione e una pacificazione si possono raggiungere solo quando entrambe le parti, non solo quella che è stata sconfitta ma anche quella che è risultata vincitrice, ammetteranno i loro errori, i loro sbagli, le tragedie che hanno entrambe provocato. Sì, i loro delitti. Se non c'è questo, ritengo, illustre Signor Presidente, che ci saranno sempre e comunque i morti «buoni» da ricordare e onorare e i morti «cattivi» da dimenticare, anzi da condannare e da disprezzare.

Ormai si sa benissimo ciò che è avvenuto in quei tremendi 600 giorni e non c'è bisogno di ricordare i saggi e la Storia della guerra civile in Italia a dispense che pubblicò il deprecato Giorgio Pisanò, o i molti volumi che ha scritto quel grande giornalista onesto e controcorrente che fu Giampaolo Pansa, e che lei sicuramente conosce. I «buoni» non furono solo da una parte e i «cattivi» non furono solo dall'altra, la «parte sbagliata», onesti e in buona fede ci furono anche qui. Non tutti, secondo quanto afferma la vulgata, furono assassini, fucilatori, massacratori, stupratori e via discorrendo, con buona pace dell'Anpi. Infatti, come avviene in tutte queste situazioni di guerra civile, si ricorre di solito alla demonizzazione degli sconfitti e non si pensa di leggere, anzi ci si rifiuta di farlo, i loro ricordi, spesso in forma narrativa, che espongono le motivazioni della «scelta sbagliata», anche se, fin dal 1946, ne uscirono molti e di valore letterario.

Del resto, a dimostrazione della falsità di ogni suddivisione manichea, sarebbe sufficiente ricordare gli eccidi di «fascisti o presunti tali» avvenuti dopo il 25 aprile 1945, cioè a guerra conclusa, e per i quali non esistono (che io sappia) commemorazioni ufficiali, tra cui i sacerdoti, specie in Emilia-Romagna, che non si contano... Non so se lei conosce la sorte atroce che spesso toccò a moltissime ragazze del Servizio Ausiliario Femminile della Repubblica Sociale, ma qui desidero fare semplicemente un unico riferimento terribile, Signor Presidente.

Si faccia stampare, se non la conosce, dalla sua segreteria la voce su Wikipedia dedicata all'eccidio dell'ospedale di Schio redatta sui materiali del processo che nel dopoguerra venne intentato ai responsabili e che ancora di recente è stato ricordato con orgoglio dai discendenti politici dei coraggiosi partigiani che nel processo vennero condannati: è una cosa agghiacciante, con gli ex partigiani ormai smobilitati che, inquadrati dalla Polizia Ausiliaria Partigiana, la notte fra il 6 e 7 luglio 1945, oltre due mesi dopo la conclusione della guerra in Italia, assaltarono l'ospedale, gettarono i feriti cosiddetti repubblichini dalle finestre e uccisero 54 persone fra cui donne, considerate appunto «fasciste o presunte tali», e bambini.

È qualcosa di cui essere fieri e orgogliosi? Immagino proprio di no, eppure ripeto - gli odierni eredi dei partigiani lo hanno ricordato con vanto e nessuno glielo ha loro rinfacciato. Succede che la guerra civile continui ancora... Non c'è alcuna riconciliazione e pacificazione nazionale, ma solo «ora e sempre resistenza», no? E vale sempre il vecchio slogan sessantottino: «uccidere i fascisti non è reato». Ecco perché non li si ricorda a livello nazionale. All'epoca e oggi. Riconciliazione e pacificazione vanno bene all'estero e perché non anche per l'Italia?

E allora, illustre Signor Presidente della Repubblica, e cioè di tutti gli italiani, quando domani andrà a ricordare le «stragi nazifasciste» a Marzabotto, a Stazzema o in qualsiasi altra località, si rechi poi a Schio per rendere omaggio anche a quelle altre che non furono meno povere vittime della guerra civile, e allora sì che, nonostante le «vibrate proteste» che l'Anpi oserà lanciare, si potrà dire che un primo passo di vera riconciliazione e pacificazione nazionale sarà stato compiuto dopo ottanta anni, specie se verrà proseguito in futuro. Altrimenti questa nazione non avrà mai fatto i conti con la propria storia.

Sono evidentemente un vecchio idealista illuso, e chissà se riuscirò a

vedere mai una cosa simile prima di abbandonare questa valle di lacrime.

La ringrazio sentitamente se avrà voluto leggermi e soprattutto arrivare sino in fondo, nella viva speranza di non averla annoiata con la mia verbosità.

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