
L'Europa appoggia il governo italiano nello scontro con i magistrati sul tema dell'immigrazione. Ieri, nell'udienza davanti alla Corte di giustizia di Lussemburgo chiamata a decidere sulla legittimità dei decreti del governo Meloni che aprivano la strada alle espulsioni dei profughi verso i centri di detenzione in Albania, la Commissione Ue rende noto che Bruxelles non si opporrà al diritto del governo italiano di stabilire l'elenco dei cosiddetti «Paesi sicuri» ai quali restituire i clandestini con procedura accelerata. «La Commissione europea - dice in aula l'avvocato della commissione Flavia Tomat - è disposta ad accettare che la direttiva 2013/32» sulle procedure d'asilo «consenta agli Stati membri di designare Paesi d'origine come sicuri» anche «prevedendo delle eccezioni per categorie di persone». È un annuncio che suona come una ratifica della linea italiana, che considera «Paesi sicuri» anche nazioni come l'Egitto e il Bangladesh, paesi di provenienza dei migranti trasferiti in Albania, nonostante alcune particolari categorie di cittadini vi vengano discriminate.
La linea governativa era contestata dai magistrati della sezione immigrazione del tribunale di Roma che avevano riportato i profughi in Italia e che si erano poi rivolti a Lussemburgo per avere conferma delle loro tesi. Ora per sapere cosa ne pensi la giustizia europea, per capire se il governo Meloni aveva diritto di decidere in quali Paesi i migranti irregolari possano essere rispediti con procedura d'urgenza, bisognerà aspettare l'estate, quando arriverà la sentenza, metre il 10 aprile sono previste le conclusioni dell'Avvocato Generale della Corte Ue, Richard de la Tour. Potrebbe sembrare un'attesa troppo lunga, ma per i ritmi abituali della Corte europea di giustizia sono anzi tempi particolarmente veloci. A riprova che il «caso Italia», con l'utilizzo per la prima volta di centri di reclusione fuori dal territorio nazionale, viene guardato con attenzione dal resto d'Europa. E a questo punto è interesse di tutti capire quali siano i margini di autonomia dei singoli paesi.
Stilando una «sua» lista di Paesi sicuri «l'Italia ha tradito i principi di certezza del diritto e di eguaglianza», dice ieri ai giudici di Lussemburgo l'avvocato Dario Belluccio, che difende uno dei due migranti. Per accusare il governo Meloni di eccessiva durezza, il legale fa un paragone con la Germania: «il pletorico elenco del governo italiano di diciannove Stati qualificati come sicuri contro i nove della Germania è la dimostrazione lampante della volontà dei governi di piegare i diritti di asilo alle logiche del diritto dell'immigrazione».
Di tutt'altro avviso l'avvocato Lorenzo D'Ascia, che rappresenta Palazzo Chigi: non esiste, dice, un «concetto di Paese sicuro in senso assoluto, privo di alcun margine di insicurezza personale». Pretendere che esistano paesi così comporta una visione «sganciata dalla realtà». E «se ci trovassimo di fronte a un flusso migratorio normale e gestibile, e non a un fenomeno epocale come quello che stiamo affrontando in questi anni, i tempi normali delle procedure sarebbero proprio quelli della procedura che oggi chiamiamo accelerata».
Dopo i giudici del tribunale di Roma, altri loro colleghi sparsi per l'Italia hanno mandato gli atti delle procedure a Lussemburgo, puntando a ottenere per le loro tesi il conforto del tribunale europeo. Ora la presa di posizione della Commissione Ue sembra dare ragione a Palazzo Chigi.
Sul loro tavolo, d'altronde, i giudici europei hanno già il suggerimento inviato loro, «in un ottica di leale collaborazione», dalla nostra Cassazione: che il 30 dicembre, affrontando gli stessi ricorsi, aveva anch'essa dato ragione al governo, stabilendo che sull'elenco dei Paesi sicuri «il giudice non si sostituisce nella valutazione che spetta, in generale, soltanto al ministro degli Affari esteri». Ora la parola passa alla Corte: il prossimo 10 aprile parlerà il rappresentante della Procura, Richard de la Tour, poi a decidere sarà la Grande sezione, presieduta dal belga Koen Lenaerts.
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