Salus rei publicae suprema lex esto. La salvezza dello Stato sia la legge suprema. Questa massima di Cicerone calza a pennello al presidente dell'Ucraina. C'era una volta un attore comico e adesso si è compiuta la metamorfosi in una figura tragica che si è imposta all'attenzione del mondo intero. Combatte per l'integrità della sua Patria e per i valori sanciti nella Costituzione. Costi quello che costi.
La resistenza eroica di Zelensky e di un intero popolo si propone di tutelare non solo un territorio, ma anche i valori scolpiti nella Costituzione ucraina. Gli stessi valori, si badi, del mondo occidentale, delle democrazie liberali. Non a caso la Legge fondamentale dell'Ucraina tutela i diritti umani, le libertà e lo Stato di diritto. Non a caso nessuna ideologia può essere riconosciuta dallo Stato come obbligatoria. Non si tratta di parole al vento come quelle della Costituzione dell'Unione sovietica del 1936, la Carta staliniana. Ricca di buoni propositi puntualmente seguiti dalle purghe del dittatore georgiano. Una neolingua magistralmente stigmatizzata da George Orwell, che aveva smascherato da par suo i misfatti del comunismo.
Ecco perché Zelensky non solo combatte per la propria terra, ma anche per noi, che per nostra fortuna viviamo nel mondo libero. Più la sua resistenza procede, più si conquista l'ammirazione del mondo intero. Putin pensava di fare dell'Ucraina un solo boccone. E invece il suo esercito più che marciare si è impantanato. Avanza e ripiega a volte secondo i piani prestabiliti, come si diceva da noi durante la guerra. Non hanno visto giusto i servizi segreti russi e gli alti ufficiali cadono come birilli sotto il fuoco ucraino. Al punto che Putin si è lasciato sfuggire che la guerra non essendo la vittoria a portata di mano continua. E non continuerà come la guerra a chiacchiere di Badoglio, che durò dal 25 luglio all'8 settembre. Se nella capitale tedesca il presidente Kennedy disse «Ich bin ein Berliner», così noi possiamo dire a buon diritto di essere ucraini.
E qui entra in scena il nostro Cavour. In un teatro di guerra lontano come la Crimea, il presidente del Consiglio del Regno di Sardegna, un miope che sapeva guardare lontano, inviò un corpo di spedizione alleato dell'Impero Ottomano, della Francia e dell'Inghilterra allo scopo di sventare l'attacco dell'Impero russo. La spedizione ebbe un costo economico e in vite umane. Ma grazie a questi sacrifici Cavour poté partecipare al Congresso di Parigi del 1856, parlare da alleato agli alleati e stipulare un più stretto rapporto con la Francia che combatterà al nostro fianco nella seconda guerra d'indipendenza. Anche grazie ai favori della contessa di Castiglione, cugina acquisita di Cavour, generosamente concessi a Napoleone III.
Tant'è che a un amico Cavour disse: «Che bricconi saremmo se quello che abbiamo fatto per l'Italia l'avessimo fatto per noi stessi!».Come il grido di dolore di Cavour, quello di Zelensky ha attirato l'attenzione e il fattivo contributo del mondo libero. Perciò, tra le rovine, il presidente ucraino può cantare con ragione vittoria.
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