Centrodestra assente e sinistra scatenata: no al presidenzialismo

Riforma bocciata per 34 voti. Decisivi anche i deputati di Fi e Lega che non erano in aula

Centrodestra assente e sinistra scatenata: no al presidenzialismo

Il centrodestra ritrova l'unità sul presidenzialismo, ma per la logica dei numeri e la legge degli assenti non basta a far discutere in aula la proposta di legge di Giorgia Meloni per un semi presidenzialismo alla francese. Cinque stelle, Pd, Liberi e uguali, la sinistra al completo si esprimono per varie ragioni contro, Italia viva si astiene e il tentativo di FdI, supportato da Lega, Forza Italia, Coraggio Italia e Noi con l'Italia non supera il fuoco di sbarramento.

Meloni, che aveva sfidato gli alleati di centrodestra alla compattezza, non ha avuto molto da opporre a Lega e Forza Italia, se non le consuete assenze: 16 deputati azzurri e 26 leghisti. Ma anche se gli emendamenti soppressivi sono stati approvati con non più di 34 voti di scarto e quindi Forza Italia e Lega presenti in modo compatto avrebbero consentito al presidenzialismo di andare avanti, c'è da tenere conto che dall'altra parte neanche i Cinque stelle erano massicciamente in aula: 18 assenti e 23 in missione.

«Un golpe bianco» lo definisce Fabio Rampelli di FdI, accusando Pd e 5s. Gli replica Emanuele Fiano dal Pd: «Guardi gli assenti tra i banchi di Lega e Forza Italia». Più che una scelta politica, sembra una conseguenza della riduzione del numero dei parlamentari da 630 a 400, con quella che durante il dibattito Maurizio Lupi di NcI, favorevole al presidenzialismo, definisce «la peggiore riforma di sempre». Sono in molti a temere di non essere rieletti e a muoversi in ordine sparso.

Sia Berlusconi, ricordando che il presidenzialismo è una sua proposta sin dal 1995, sia Matteo Salvini si sono attivati. «Noi una Repubblica presidenziale e federale la votiamo e la vogliamo» si era impegnato in mattinata il segretario della Lega. Ma proprio come nel marzo scorso, il no della sinistra e gli sgambetti degli assenti hanno avuto la meglio.

Meloni, nel suo intervento introduttivo, ha parlato di una sorta di presidenzialismo di fatto, in cui «le leggi non le fa il Parlamento ma il governo», criticato il ricorso regolare alla fiducia, aperto anche a altre forme di presidenzialismo: «Siamo in un sistema che somiglia al presidenzialismo, con il governo che decide, ma non abbiamo le regole, per cui abbiamo il rischio di una deriva autoritaria». Convitata di pietra anche la legge elettorale, perché se la sinistra sostiene che non ci sarebbero i tempi per approvare una qualsivoglia forma di presidenzialismo, resta invece sul piatto la possibilità di modificare il sistema che regola l'elezione dei parlamentari.

Il presidenzialismo è una presenza fissa nel dibattito politico da decenni. «Berlusconi lo propose in un discorso qui alla Camera del 1995» ricorda Carlo Sarro di Forza Italia. La leghista Ketty Fogliano cita sondaggi per i quali «tre italiani su quattro sono favorevoli all'elezione del Presidente». Lupi, NcI, sottolinea la posizione a suo dire paradossale del M5S: «Proprio i paladini della democrazia diretta sono contrari all'elezione del capo dello Stato da parte dei cittadini».

Non c'è dubbio che Vittoria Baldino, esponente dei Cinque stelle, abbia dichiarato orgogliosa di essere firmataria di tutti gli emendamenti soppressivi del presidenzialismo. Tocca a Stefano Ceccanti, pd, sostenere che «l'elezione diretta del presidente prevede la revisione organica della seconda parte della Costituzione» e che a dieci mesi dal voto sarebbe «propaganda».

Marco Di Maio, tra gli astenuti di Iv, cita un

intervento di Piero Calamandrei alla Costituente: «Le dittature sorgono non dai governi che governano e che durano, ma dall'impossibilità di governare dei governi democratici». Ma ciò non basta perché Italia viva voti a favore.

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