La tassa sugli extraprofitti delle banche ha rappresentato una sorta di «autogoal» anche per quanto riguarda i rapporti tra l'esecutivo e il sindacato. L'ostilità preconcetta della Cgil al governo meloni aveva allontanato la confederazione di Maurizio Landini dalla Cisl di Luigi Sbarra, più propensa per vocazione al dialogo con la controparte politica. Ma l'aver concesso al sindacato un punto qualificante della piattaforma «politica» unitaria, ossia la tassazione degli utili extra delle imprese (e anche dei grandi patrimoni), sicuramente ha riacceso nelle segreterie la convinzione che sui grandi temi conviene stare assieme perché alla fine qualcosa si ottiene. Magari non sarà il caso del salario minimo, ma di sicuro da ieri Landini, Sbarra e Bombardieri hanno un motivo in meno per dividersi.
«Allora si può fare: è possibile tassare gli extraprofitti, come la Cgil richiede, pressoché inascoltata, da tempo», ha commentato il sindacato di Corso Italia. «Adesso il governo, dopo questo passo indietro rispetto al ridimensionamento dell'imposta sugli extraprofitti deciso nell'ultima legge di Bilancio, non si fermi a un provvedimento estemporaneo, ma estenda la decisione assunta sulle banche a tutte le imprese e i settori che stanno macinando risultati record», ha aggiunto sottolineando che «per quanto riguarda l'utilizzo delle risorse recuperate non ci sono dubbi: sono da destinare al sostegno di lavoro, salari, sanità e servizi pubblici».
«È giusto aver deciso di tassare gli extraprofitti delle banche», ha commentato la Cisl che ha chiesto di allargare questo tipo di intervento «alle altre multinazionali (energia, digitale, logistica) per recuperare risorse da impegnare ad alzare salari, retribuzioni, pensioni ed a ridurre il peso delle tasse ai lavoratori, pensionati e sostenere le famiglie sui mutui per le prime case». Anche per la Uil «i principi alla base della misura annunciata dal governo sono condivisibili» visto che il segretario Bombardieri, aveva posto da solo la questione.
Il paradosso è che le sigle dei bancari, senza far rumore, cercano di smarcarsi dall'entusiasmo delle segreterie generali. D'altronde, lo stesso Landini ieri aveva auspicato che «le banche non utilizzino strumentalmente questa scelta del governo per compromettere il confronto in corso per il rinnovo del contratto nazionale». Stesso discorso per Fulvio Furlan, segretario della Uilca-Uil.
«La decisione del governo non impatta sullo stato di salute del settore creditizio, ma certamente non devono essere le lavoratrici e i lavoratori a pagarne le conseguenze», ha dichiarato aggiungendo che «i dipendenti delle banche meritano, nel prossimo rinnovo del contratto nazionale, un aumento economico che consideri il recupero del potere di acquisto e la redistribuzione della redditività». È rimasto in silenzio, invece, il segretario generale della Fabi (principale sindacato dei bancari), Lando Maria Sileoni. Sta seguendo la vicenda e si esprimerà una volta chiarito il quadro normativo. Con diplomazia.
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