Sotto la dittatura dei social si parla di tutto ma, purtroppo, anche di nulla. Dal punto di vista mediatico e politico, tira un'aria strana attorno ai referendum sulla giustizia, a 32 giorni dal voto del 12 giugno che richiamerà alle urne 51,5 milioni di italiani. La loquacità della sinistra sul coinvolgimento elettorale del popolo nella stanza dei bottoni si è fermata alla retorica retrò di Peppone. E la «democrazia diretta» che ha fatto la fortuna dei grillini è rimasta circoscritta a poche migliaia di clic da parte di militanti sempre più svogliati e demotivati, anche perché interpellati su temi interni da circolo Sporting.
Forse potrà scuotere le coscienze il grido di una vecchia volpe della politica, il leghista Roberto Calderoli, che ha denunciato una «congiura del silenzio» per sterilizzare una riforma democratica dai potenziali effetti devastanti. E non sono trucchetti di propaganda partitica per mobilitare l'elettorato nei tempi e modi giusti.
Gli italiani sono mediamente informati tra quotidiani, tv, web e social. Ma sui referendum gli elettori sono ancora avvolti nella notte fonda della disinformazione. Fa impressione il sondaggio diffuso ieri da Swg: appena un italiano su quattro è aggiornato sulla consultazione di giugno. E, ancor peggio, 37 italiani su 100 si dichiarano all'oscuro di tutto. Ne discende un fondato allarme sul raggiungimento del quorum. Al momento, secondo le stime, l'affluenza potrebbe oscillare dal 29 al 35%, troppo lontana dal fatidico 50%+1 che lo renderebbe valido. Leghisti e radicali, i promotori ufficiali, si dannano per scuotere l'opinione pubblica dal torpore. Tanti piccoli colpi di piccone contro il muro di una magistratura corporativa e immutabile, che andrebbero moltiplicati da almeno 26 milioni di italiani in cabina elettorale.
La giustizia riguarda tutti: le cronache drammatiche degli ultimi anni hanno documentato la facilità con cui qualsiasi cittadino può sprofondare in un'immotivata odissea giudiziaria lunga decenni. La media di tre arresti ingiusti al giorno resta un triste primato italiano che dovrebbe destare una sensibilità sociale non secondaria rispetto ad altre questioni come la salute e il lavoro. Il tacito complotto attorno ai cinque quesiti (dalla custodia cautelare alla separazione delle carriere dei magistrati) tocca troppo da vicino gli equilibri di una magistratura da rifondare sotto tanti aspetti.
Giudici e pm non vogliono intrusioni del corpo elettorale nel palazzo dove si sono arroccati, paradossalmente in nome dello stesso popolo italiano.
E l'inossidabile circuito mediatico-giudiziario, che da decenni costituisce un contropotere di fatto, paragona il voto a una misura ritorsiva. Per questo preferiscono sorvolare, per non mettere idee strane in testa agli elettori. Quegli italiani che, armati di matita, potrebbero fare più riforme in una giornata che l'intero Csm dal 1959.
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