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Chiamate il terrore col suo nome

Molto è cambiato da quel giorno di orrore in cui attoniti, precisamente 21 anni fa, e sembra ieri, guardammo alla tv morire tremila persone a New York City

Chiamate il terrore col suo nome

Molto è cambiato da quel giorno di orrore in cui attoniti, precisamente 21 anni fa, e sembra ieri, guardammo alla tv morire tremila persone a New York City, Washington DC e a Shanksville, Pennsylvania. Fu l'11/9. Ma ancora siamo preda dell'incubo terrorista e della sua astutissima costruzione teoretica, inchiodati davanti agli schermi tv a seguirne le gesta in tutto il mondo, con qualsiasi sigla si presenti; siamo avviluppati con le sedi di decisione internazionale, specie l'Onu, le Corti internazionali, le Ong e i suoi derivati, nell'adottare una concettualizzazione dubitosa e timida della parola stessa «terrorismo» e dei suoi feroci perpetratori, preferendo spesso immaginare squilibrati e disadattati miserevoli, per timore che siano alla fine «combattenti delle libertà». Questo ha anche indotto il giudiziario alla cautela estrema per timore di ferire la libertà religiosa ed epitome della vicenda, dopo tanti anni di combattimento, ha spinto l'America l'anno scorso a fuggire nella vergogna dall'Afghanistan, nido in cui Bin Laden aveva trovato rifugio e conforto. Si è ripetuta la storia irachena che ha generato l'Isis; dopo che tante vite di soldati americani vi erano state perdute.

Al Qaida però e l'Isis non somigliano a ciò che erano. Bin Laden è morto, e anche tutti gli altri capi delle due organizzazioni non esistono più. Ma esistono un numero pari a quattro volte i gruppi salafisti-jihadisti che esistevano 21 anni fa. Al Qaida è molto cresciuta in Africa, si è installata e poi rarefatta in Siria, è presente in molte province afghane e il suo rapporto coi talebani risulta fiorente. Nel frattempo è vivo anche lo Stato Islamico, per abbattere il quale (e non definitivamente) ci sono voluti cinque anni e una coalizione di 83 Paesi. L'Isis ha agito con grossi attacchi in tante città importanti, Parigi, Bruxelles, Nizza, New York. Al Qaida si è rifatta viva con il volo Egitto Russia (29 vittime). Ma l'Isis è stata nel 2021 il gruppo terrorista più letale, con gli attacchi nel Niger.

Oggi la vera epidemia è nelle zone di conflitto; lo sforzo dei Paesi Occidentali dall'11/9 ha fatto diminuire gli attacchi dell'82%. E tuttavia, la pulsione terrorista è sempre micidiale e anche la guerra in Ucraina influenzerà probabilmente la crescita del terrore in Europa, mentre il cyberterrore russo avanza, dice il «Global Terrorism Index» del 2022.

Chi scrive ha visto morire a marzo, aprile e maggio nelle città israeliane per mano terrorista di Hamas, della Jihad Islamica e di appartenenti ad al Fatah, giovani genitori, donne ai caffè, ragazzini che passeggiavano. Ciò che alimenta il terrore è la incessante ripetizione propagandistica di slogan che sporcano dalla più tenera infanzia le scuole e i mezzi di comunicazione talebani, o iraniani, o palestinesi, che incitano all'odio e alla violenza contro immaginari aggressori della vera fede, la loro.

La guerra contro il terrorismo può avvenire solo con una autentica rivoluzione culturale e di deterrenza che superi le pure ottime forme di organizzazione e l'alleanza internazionale.

Occorre una cultura che sappia con fermezza chiamare il terrorismo col suo nome, che fermi chi lo alimenta sotto mentite spoglie (sono miliardi quelli che finiscono nelle casse terroriste sotto forma di aiuti a organizzazioni umanitarie) e controlli l'uso mortale dei social media.

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