Quest'anno mancherà una piccola, dolce tradizione sul tavolo di Natale: chiude la Pernigotti, la storica azienda di Novi Ligure, 160 anni di storia sabauda alle spalle. E i suoi torroni, mostarde e i dorati gianduiotti non ci saranno più, o quanto meno non saranno più prodotti in Italia, nella storica sede piemontese.
L'azienda ha comunicato di avere presentato istanza di ammissione alla procedura di Cassa integrazione guadagni straordinaria per 100 dipendenti, a seguito «della parziale cessazione dell'attività aziendale». Le causa è sempre la stessa, la crisi determinata dal calo delle vendite e del fatturato che l'azienda non è riuscita a contrastare «nonostante le azioni finora implementate a sostegno del business», si legge in una nota.
Quel che è certo è che la produzione cesserà nello stabilimento di Novi Ligure, dove erano impiegati 50 dipendenti. Mentre non sarà dismesso il marchio, che continuerà nella distribuzione e commercializzazione dei prodotti alimentari mentre la produzione continuerà, presumibilmente, altrove attraverso «partner eccellenti» che dovrebbero «salvaguardare la qualità e l'attenzione alle materie prime che da sempre caratterizzano l'offerta del brand Pernigotti». In sostanza, e con ogni probabilità, made in Italy addio.
Va detto che la proprietà della Pernigotti italiana non lo era più da qualche anno. L'azienda è in mano dal 2013 al gruppo turco Toksoz, il maggior produttore mondiale di nocciole, che l'aveva rilevata dalla famiglia Averna, quella dell'amaro, proprietaria dal 1980.
Il resto della lunga, e gloriosa, storia fu tutto in mano ai discendenti del fondatore, Stefano Pernigotti, che fondò nel 1868 insieme al figlio Francesco la «Stefano Pernigotti & figlio», azienda specializzata in produzione dolciaria. Il tutto era partito otto anni prima dalla bottega specializzata in «droghe e coloniali», affacciata sulla piazza del Mercato, a Novi Ligure, presto diventata famosa in tutta la zona per la produzione di uno squisito torrone. È il primo giugno e il capitale per l'impresa ammonta a 6mila lire.
Il successo, e la crescita della fabbrica, arrivano, tanto che nel 1882 la Pernigotti ottiene da Re Umberto I la facoltà d'innalzare lo stemma reale sull'insegna della fabbrica. Stemma che accompagnerà il logo dell'azienda fino al 2004. Seguono le acquisizioni importanti, della cremonese Enea Sperlari - ceduta poi nel 1981 agli americani della H.J. Heinz Company - e della Streglio, specializzata nei prodotti a base di cacao e ceduta a sua volta nel 2000.
Resta la notorietà, in Italia e all'estero, di quel cioccolatino dorato che Pernigotti non aveva inventato - lo aveva creato Caffarel nell'Ottocento - e che fu prodotto «solo» a partire dal 1927, ma che diventò il più noto del mondo. Proprio quello storico cioccolatino a forma di barca rovesciata avvolto nella carta dorata, che fa subito festa e che non si finirebbe mai di sciogliere in bocca. Orgoglio della città sabauda dalla cui maschera, Ganduja, prende il nome.
La chiusura non sarà senza conseguenze. I sindacati fanno sapere che c'era la possibilità di ottenere dal Mise un anno di cassa integrazione straordinaria per ristrutturare e cercare di rilanciare lo stabilimento, «ma l'azienda - ha spiegato il segretario Flai Cgil, Marco Malpassi - ha detto un no definitivo, irresponsabile e arrogante». Flai Cgil, Fai Cisl e Uila Uil non hanno comunque intenzione di arrendersi, e già dalle 6 di stamani sono in assemblea permanente in fabbrica. Sono stati coinvolti il sindaco di Novi Ligure, Rocchino Muliere, che ha già annunciato battaglia, e il prefetto.
A meno di sorprese dell'ultima ora,
però, se ne andrà un altro pezzettino di made in Italy storico. Un'emorragia, quella dei marchi più gloriosi dell'industria alimentare italiana, che secondo Coldiretti ha già portato in mani straniere tre marchi su quattro.
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