Chiuse tutte le scuole nelle zone rosse e dove il rischio è alto. No di sindaci e presidi

Il parametro decisivo quello dei 250 casi ogni 100mila abitanti. Secondo una proiezione sono 24 le Province già oltre la soglia, 20 in bilico. Decaro (Anci) e Giannelli (Anp): "Il governo lascia a casa i ragazzi e favorisce la movida"

Chiuse tutte le scuole nelle zone rosse e dove il rischio è alto. No di sindaci e presidi

Scuole aperte, ma non a ogni costo. Perché il virus è mutato e le varianti corrono veloci tra i più giovani. Alla fine i timori del Comitato tecnico scientifico hanno prevalso su chi non ne voleva sapere di ipotizzare chiusure anche nelle regioni arancioni e, nonostante le tensioni tra ministri e governatori, la cabina di regia con il premier Mario Draghi, convocata nuovamente ieri, ha stabilito di allargare la stretta in tutte le zone a rischio.

Così nel nuovo Dpcm è entrato un automatismo che prevede la chiusura delle scuole di ogni ordine e grado non solo in fascia rossa, ma ovunque i contagi superino i 250 casi settimanali per 100mila abitanti o in caso «di motivata ed eccezionale situazione di peggioramento del quadro epidemiologico». Quando il numero dei positivi schizza in alto, dunque, tutti in didattica a distanza finché la curva non si stabilizza. Saranno i presidenti delle Regioni a stabilirlo e a firmare i relativi provvedimenti che potranno interessare anche singole province o comuni. Allo stato attuale 24 province hanno già superato la soglia dei contagi che richiede la chiusura e altre 20 sono a rischio, come emerge da un'analisi di Youtrend basata sui dati della Protezione civile.

«Il tema della scuola è decisivo e c'è l'attenzione di tutto il governo. Abbiamo stabilito queste misure perché c'è un fatto nuovo legato alla capacità di impatto della variante inglese sui più giovani», spiega il ministro della Salute Roberto Speranza. La dad - assicura - sarà attivata solo in casi di estrema gravità e verranno garantite agli studenti le migliori condizioni possibili per seguire le lezioni da casa. L'intenzione è dunque quella di investire sulla didattica a distanza e la connessione. «Ci sono le risorse anche retroattive per la scuola, il problema è spenderle velocissimamente e fare in modo che ci sia il potenziamento immediato della dad», insiste il ministro Maria Stella Gelmini. Anche per quanto riguarda il Cts, da sempre favorevole alla scuola in presenza, non si tratta di un cambio di rotta, ma una necessità dovuta al dilagare del virus tra i ragazzi. «La scuola è un posto sicuro, ma non significa che ne può essere garantita la frequenza se fuori c'è una situazione allarmante», spiega Alberto Villani, membro del comitato e presidente della Società italiana di pediatria. La stretta sulla scuola non è stata decisa senza discussioni. Lunedì durante la prima riunione convocata da Draghi non si riusciva a trovare la quadra tra il rigore invocato dai tecnici per limitare i danni delle varianti e la necessità del governo di tenere aperte le classi. Un primo paletto era stato il ministro dell'Istruzione Patrizio Bianchi a metterlo: se si chiudono le scuole in zona arancione, la sua posizione, allora non si possono tenere aperti i centri commerciali. Di questo si è discusso nuovamente ieri prima della firma del dpcm, ma sulla chiusura dei negozi alla fine non è stato inserito alcun automatismo. Anche il presidente dell'Anci, Antonio Decaro, ha legato l'eventuale chiusura delle classi alla necessità di garantire i controlli nei luoghi della movida: «Scuole chiuse ma movida libera. Il nuovo dpcm sembra dire questo. Con una mano si chiudono le scuole e con l'altra si elimina il divieto di asporto per tutti dopo le 18, favorendo così di fatto gli assembramenti nei luoghi della movida e vicino a bar e locali». Lo stesso i presidi. «Sarebbe strano tornare alla Dad e rivedere i centri commerciali pieni», dice Antonello Giannelli, presidente della loro associazione nazionale. Perplessità e divergenze anche tra i governatori.

Qualcuno, come il presidente della Puglia, Michele Emiliano, avrebbe preferito che fosse stato il governo a disporre le chiusure. Mentre Luca Zaia, in Veneto, ha contestato il parametro dei casi per abitante, sottolineando che questo metodo penalizza le regioni che fanno più tamponi.

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