Chiusi i Cie, ora i migranti tornano nelle caserme

Bagnoli e Conetta non ci sono più, ieri i primi 127 trasferimenti in una struttura di Treviso

Serenella Bettin

Tutti ci chiedevamo se avremo ancora sentito parlare di immigrazione nelle caserme. Di profughi accatastati dentro le ex basi militari. Ebbene sì. A Treviso i profughi tornano nelle caserme. Già il rischio era nell'aria, dopo il rifiuto della Caritas e di alcune cooperative di partecipare al bando per l'accoglienza a causa della riduzione dei servizi, del taglio dei fondi e della cancellazione dei percorsi di integrazione. Ma adesso è realtà. Ieri i primi 127 trasferimenti.

Il Veneto, una regione che ha sempre sofferto il problema dell'accoglienza. Ma dopo la chiusura delle basi di Bagnoli e Conetta, finite nelle cronache nazionali, Bagnoli con i suoi 800 e passa migranti e Conetta con le sue rivolte e i suoi 1600 profughi, si era tornati un po' a respirare. Ora si torna indietro e quello che era visto come il decreto salva italiani, rischia di avere un effetto boomerang. A Treviso, ieri, 127 richiedenti asilo sono stati ricollocati nella caserma Serena e altri saranno ricollocati nella Zanusso di Oderzo o in altri centri. Due strutture quelle, che erano riuscite a diminuire i loro numeri: la Serena, con 270 ospiti, aveva conosciuto picchi di oltre 800 richiedenti asilo e la Zanusso, con 220 ospiti, aveva avuto picchi di 600.

Il prefetto di Treviso Maria Rosaria Laganà, lunedì scorso, al tavolo sindacale con Cgil, Cisl e Uil, ha annunciato che un centinaio di profughi saranno ricollocati nelle caserme e un altro centinaio in piccoli centri. Un piano di «ricollocamento» sottolineando che nessuno rimarrà per strada. Una situazione però che desta allarmi e preoccupazioni dato che dopo la chiusura di Cona e Bagnoli, la «nuova» emergenza immigrazione rischierebbe di riversarsi tutta sulle due caserme trevigiane. Proprio quelle che il ministro dell'Interno Matteo Salvini durante la festa della Lega di alcune settimane fa aveva detto di voler chiudere.

I sindacati hanno scritto una lettera al prefetto di Treviso affinché intervenga. «Quel decreto, che migliaia di trevigiani hanno contestato scendendo in piazza il 2 febbraio, mira a colpire chi si è impegnato nei progetti di accoglienza diffusa e ha lavorato per conciliare integrazione e sicurezza. I tagli al finanziamento del servizio rendono la prosecuzione del servizio insostenibile economicamente per chi gestisce piccoli centri e le norme risultano gravi in questo ambito perché vengono ridimensionate o eliminate figure finora presenti nei centri come lo psicologo, il mediatore linguistico culturale, l'insegnante di lingua italiana, l'assistente sociale.

Se a queste riduzioni si somma quella della spesa giornaliera - da 35 euro a 20 - è chiaro che la qualità dell'accoglienza è destinata a peggiorare e che i piccoli e medi centri rischiano di scomparire a favore di quelli grandi». Ed era maggio di tre anni fa quando centri di «accoglienza» come Conetta iniziavano a riempirsi. La storia ricomincia?

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