"Con il cibo in provetta puntano a sovvertire gli equilibri naturali"

Il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini: "La Fao pone da anni la questione della sovranità alimentare. Con il nuovo ministro lavoriamo per aumentare le deleghe, la priorità sarà la lotta al cibo sintetico"

"Con il cibo in provetta puntano a sovvertire gli equilibri naturali"

Il tema è entrato, come era inevitabile, anche nel discorso di insediamento della premier Giorgia Meloni, che ha lanciato una stoccata alla deputata del Pd, Laura Boldrini, la quale nei giorni scorsi aveva ironizzato sul concetto di "sovranità alimentare". "Non significa mettere fuori commercio l’ananas, - ha puntualizzato il premier - ma garantire che non dipenderemo da nazioni distanti da noi per poter dare da mangiare ai nostri figli". Un principio che trova d’accordo il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini, che è in contatto costante con il neo-ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida. Quando ci sentiamo sono le nove del mattino e lui ha già ricevuto una sua telefonata.

Sovranità è sinonimo di autarchia?

"Tutt’altro. La Fao da anni pone la questione della sovranità alimentare, invocandola in ogni Paese. Il fondatore di Slow Food, Carlin Petrini, tutt’altro che di estrema destra, per anni ha posto l’accento sul fatto che la stessimo perdendo e che servisse una politica per riportare al centro questo concetto. Dobbiamo difendere la biodiversità e mettere a punto un piano strategico per una aumentare la capacità interna: negli ultimi decenni abbiamo perso centinaia di migliaia di ettari coltivati, soprattutto nelle aree interne, per seguire una politica di globalizzazione che imponeva di comprare i prodotti dove costavano meno. Oggi con i contratti di filiera, ragionando sui bacini di accumulo e sul potenziamento delle aree irrigue, potremmo tornare a dare soddisfazione in termini economici ai nostri imprenditori e a dare una risposta concreta alla filiera agroalimentare. È ovvio che non riusciremo a coprire il cento per cento del fabbisogno in tutti i settori, ma si possono creare le condizioni per aumentare la percentuale in molte filiere, come quella del grano".

Effettivamente, prima la pandemia e poi il conflitto in Ucraina hanno mostrato come un’eccessiva dipendenza dall’estero possa avere conseguenze gravi.

"Ci hanno insegnato che una globalizzazione spinta e senza regole non aiuta e ci rende fragili. Ora dobbiamo cercare di recuperare, come ha fatto la Francia, aumentando le produzioni con i giusti investimenti e ricominciando a parlare di infrastrutture, tecnologie, robotica, agricoltura 4.0, innovazione. Dobbiamo ragionare come filiere produttive e non come singoli settori, considerando anche che l'agroalimentare è la prima voce in termini di Pil".

Con il ministro Lollobrigida siete già in contatto?

"Sì, stiamo lavorando per aumentare le deleghe, in particolare quella sulla filiera, che è attualmente divisa tra i ministeri dell’Agricoltura, Sviluppo Economico e Sanità, e quella sulla gestione delle energie rinnovabili, come biogas, biometano e fotovoltaico. Sarebbe una semplificazione di carattere burocratico e un modo per essere più veloci ed efficienti, dare maggiori certezze agli imprenditori ed utilizzare al meglio le risorse del Pnrr. Oggi parlare con una sola voce è fondamentale, anche in vista di battaglie come quella sul Nutriscore".

A proposito, come finirà il braccio di ferro in Europa sui sistemi di etichettatura?

"Intanto l’Italia è riuscita ad aprire una discussione a livello europeo dimostrando come il Nutriscore così come era stato concepito fosse un grande inganno per i consumatori, visto che prendendo in considerazione una quantità di prodotto in molti casi impossibile da consumare all’interno di un pasto finisce per premiare i prodotti ultraprocessati. Adesso starà ai tecnici fare le proprie considerazioni e una risposta potrebbe arrivare nella seconda metà del 2023".

Quali sono i dossier più caldi che il nuovo ministero dovrà affrontare?

"Sicuramente quello del rischio enorme legato al cibo sintetico. Questa è la vera priorità da attenzionare, sia in termini di strategia, sia di tutela della salute dei consumatori. Bisogna portare avanti una battaglia per evitare che l’Ue possa dare il via libera a questo tipo di prodotti. Basti pensare che non c’è nessuno studio sull’impatto del cibo prodotto in laboratorio sulla salute umana.

Nei Paesi in cui questi prodotti sono commercializzati i clienti devono firmare una liberatoria sui rischi. Per ora si tratta perlopiù di carne e latte realizzati in provetta. Ma gli studi puntano anche a replicare prodotti vegetali: l’obiettivo è quello di sovvertire gli equilibri naturali".

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