L'Italia rischia di regalare la sua cittadinanza a chi la odia. Segnalano anche questo paradosso le scene inquietanti viste al Garda, con l'ostentata occupazione del territorio sfociata in un assedio al grido di «questa è Africa».
Se andassero in porto i progetti di «Ius soli» o altri automatismi simili (e il 24 giugno la discussione torna alla Camera) si potrebbe arrivare a concedere lo status di cittadino non a chi lo merita, ma a un esercito di persone che fa dell'ostilità per il Paese d'accoglienza un elemento identitario (con ciò danneggiando tutti gli immigrati, peraltro). Questo è il pericolo prospettato dal centrodestra, per esempio dal sottosegretario leghista Nicola Molteni, ma timori in questo senso vengono evocati anche al di fuori del mondo politico.
Le molestie contro le ragazze («insultate perché bianche», hanno denunciato) ripropongono il copione delle violenze collettive di Capodanno, a Milano che a loro volta hanno replicato quelle del 2016 Colonia. Dopo l'episodio del Duomo, l'imamessa italo-somala Maryan Ismail ha evocato la taharrush jama'i, le molestie collettive già viste nella piazza tedesca o al Cairo. E ricordando la guerriglia scoppiata a San Siro durante le riprese del video di un rapper maghrebino, il massimo esperto di radicalismo Lorenzo Vidino, ha parlato di «una sottocultura che sposa, spesso in maniera confusa, identità arabo-islamica, mitizzazione della criminalità e machismo».
«Quel che è accaduto - avverte Molteni - è l'esatta dimostrazione di cosa significherebbe dare la cittadinanza facile e breve a chi mostra quel disprezzo. Questo penso quando leggo frasi come portiamo l'Africa qui o donna bianca. Io voglio riaffermare il principio che la cittadinanza non è uno strumento di integrazione ma l'approdo di un processo che deve premiare chi ama un Paese e ne assorbe cultura e valori. Non si può regalare. Ovviamente anche un italiano che si comporta in quel modo va sanzionato altrettanto duramente».
Molestata perché donna, insultata perché bianca o anche aggredito perché ebreo. Sono segnali. La Francia, dove gli ebrei scappano da anni, è l'emblema di ciò che paventa chi teme «maglie troppo larghe». E a Milano, un professionista ebreo ha denunciato di essere stato più volte aggredito solo perché portava la kippah.
«Legare la cittadinanza al percorso scolastico è giusto - commenta Davide Romano, esponente ed ex assessore della Comunità ebraica - ma a patto che ci sia un esame serio che valuti il livello di integrazione. Niente automatismi, insomma. Non si può trattare allo stesso modo chi si è comportato bene e chi ha commesso reati».
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