Chi è il bambino e chi l'adulto? Sta tutto qui lo scalpore dello spot della bambina. La storia sbatte in faccia a tutti che i figli di genitori separati soffrono. E tutti stanno reagendo, perché gli scombina la narrazione dominante, anzi unica. È stato detto che è un'enciclica contro il divorzio, tossica perché dipinge come necessariamente drammatica una separazione che invece molto spesso coincide con una liberazione»: e di' che il mondo non è al contrario. Il divorzio sarà pure necessario ma non per questo è positivo. Lo è il matrimonio, che infatti si festeggia augurandoselo per la vita, non la sua fine. Poi ci sono quelli che, non accontentandosi di rendere gioiosa una sconfitta, vorrebbero distruggerlo sostenendo che i tempi siano maturi per «scindere il concetto di coppia da quello di famiglia e quello di famiglia dalla genitorialità». Ma sì, buttiamo tutto al secchio, visto che qualcuno non può biologicamente o semplicemente non gli va.
Una liberazione, ma per chi? Secondo gli esperti «nessun bambino è mai felice quando i genitori si separano». Davvero ce lo deve dire un esperto? Ma non saremmo noi gli esperti di matrimonio, famiglia e figli? E se non lo siamo, di cos'altro della vita saremmo esperti, oltre a respirare e camminare? È questo l'anello mancante. Dai boomers in avanti si cresce con l'idea di volersi e potersi godere la vita. Va bene, ma spinge a fuggire dalle responsabilità, che altro non sono che il dovere di portare il peso e le conseguenze delle azioni. Se fai un figlio quello poi sta lì, occupando parte della tua esistenza e limitandola. Così la soluzione trovata è stata di trasformare una conseguenza negativa, il dolore che la separazione infligge ai figli, in una liberazione. Un'illusione resa possibile dal rimanere per tutta la vita in uno stato adolescenziale tendente all'infantile, che crede alle favole. Nello spot, la bambina è un'adulta che affronta il problema mentre marito e moglie sono dei ragazzini buoni a ingannare se stessi. In questo senso lo spot è una chiamata alla responsabilità, che non significa cancellare il divorzio ma considerarlo comunque una sconfitta per la coppia e un male necessario per i figli, dunque da limitare il più possibile. Sì perché la chiave di tutto è accettare che quando ci sono i figli le parti in gioco non sono due (marito e moglie) ma tre. I ragazzi sono portatori di interesse nella vicenda e la loro volontà dovrebbe valere quanto e più di quella della coppia che, mettendoli al mondo, ha assunto precisi obblighi verso di loro anche in danno del proprio benessere.
Oggi con la possibilità di convivere e pianificare ci sono ampi spazi per capire se
la coppia possa durare nelle avversità. Certo, se due immaginano che il divertimento la sera e nei week-end contenga tutti i segnali per progettare la vita insieme, allora perché stupirsi che sia la bambina quella saggia.
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