Tiepida e distaccata. Quasi imbarazzata. È questa la solidarietà che aleggia in Occidente dopo il massacro dell'Isis a Mosca. Nessun presidio nelle piazze. Nessuna bandiera Russa alle finestre. Nessuna immagine simbolo cui dedicare il proprio profilo social per ricordare le vittime della strage. Nessuno che dica «siamo tutti russi». Eppure siamo stati tutti americani, francesi e inglesi. Certo, un eccesso di solidarietà pelosa e affettata sortisce l'effetto opposto ma, in questo caso, rischiamo di cadere in un pericoloso tranello. Perché non possiamo guardare alla tragedia di Mosca con gli stessi occhiali con i quali guardiamo il conflitto russo-ucraino, rimarremmo incastrati in un gravissimo errore di prospettiva.
Non possiamo far ricadere sui cittadini russi le colpe dell'autocrate che li governa.
Putin pensa di essere la Russia, ma la Russia - nonostante i risultati farseschi delle finte elezioni - non è tutta putiniana.
Le vittime del Crocus City Hall non sono meno vittime di quelle del Bataclan e le bestie dell'Isis non sono meno bestie se colpiscono un nostro nemico. Però la solidarietà stenta, arranca faticosamente come un'auto con il freno a mano tirato: per paura di essere scambiati per filo putiniani, perché la Russia già ci sembrava lontana prima e adesso che c'è la guerra è come se le zolle tettoniche avessero creato un abisso tra noi e loro o - più mediocremente e più diffusamente - perché non va di moda, non fa trend topic, non è instagrammabile. Troppo facile essere buoni con i buoni, troppo complesso - evidentemente - empatizzare con i «cattivi». Col risultato paradossale che i russi, schiacciati in casa loro sotto il tallone del loro zar, finiscono pure per essere cittadini di serie B nel mondo, come se ci fossero embargo e sanzioni anche sulla solidarietà nei loro confronti.
Eppure siamo tutti coinquilini di una parte di pianeta che è nel mirino di una furia islamica che speravamo ormai sopita. Non sentirci coinvolti è anche un errore strategico, un tentativo sbilenco di autoconvincerci che noi non siamo bersagli di quella violenza, con il rischio di una pericolosa discesa del nostro livello di guardia.
Per questo ora è necessario stare con il popolo russo, senza tentennamenti e - soprattutto - senza paura di fraintendimenti: la condanna delle violenze di Putin resta totale e immutata, così come la denuncia dell'aggressione nei confronti dell'Ucraina. Siamo in guerra, certo, tuttavia - giova ricordarlo -, il nemico del nostro nemico, in questo caso, non solo non è nostro amico, ma è un mostro.
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