Ieri Il Giornale non era in edicola, a causa dello sciopero deciso all'unanimità dall'assemblea di redazione. Riteniamo doveroso comunicare ai lettori - che di questo quotidiano sono il primo e fondamentale patrimonio - i motivi che ci hanno portato a prendere una iniziativa così lontana dalle consuetudini dei rapporti sindacali all'interno dell'azienda che edita Il Giornale. Lo strappo non è nostro: è dell'azienda. La risposta è inedita perché queste consuetudini vengono stravolte in queste ore da una iniziativa dell'editore che per la prima volta nella sua storia scarica sui giornalisti i costi di difficoltà di cui essi non sono minimamente responsabili.
Cosa accade? Che l'editore vorrebbe dal prossimo anno ridurre del trenta per cento le ore di lavoro dei giornalisti che realizzano questo quotidiano. Significa ridurre in misura quasi uguale le retribuzioni, ed è un sacrificio il cui impatto sulla vita dei giornalisti e delle loro famiglie è evidente. E significa rendere impossibile la realizzazione di un prodotto della medesima qualità che da più di quarant'anni i lettori del Giornale trovano quando in edicola scelgono, in un mare di testate, quella fondata da Indro Montanelli.
Questo è il punto cruciale. Al Giornale oggi lavorano 76 giornalisti, un direttore e due vicedirettori. I concorrenti con cui ogni giorno ci confrontiamo hanno un organico doppio, triplo o ancora maggiore. Questo significa che al Giornale, per reggere la sfida, lavoriamo tanto. Non ci lamentiamo di questo, ci piace il nostro lavoro e chiediamo solo di poter continuare a farlo.
Le difficoltà senza precedenti che il mercato della carta stampata sta incontrando, in questi anni, sono sotto gli occhi di tutti. Mutamenti epocali stanno cambiando il mondo dell'informazione. Noi siamo disposti a fare la nostra parte, sacrificandoci e reinventandoci. Il problema è che mentre in tutto il mondo giornali grandi e piccoli affrontano questa sfida esplorando nuove strade, la soluzione che imbocca il nostro editore è solo il ridimensionamento. A titolo di esempio, il rapporto tra informazione cartacea e web, al Giornale è stato risolto con un sito Internet che è formalmente una società a sé, sui cui contenuti editoriali risulta così, secondo la redazione, più complicato sviluppare le necessarie sinergie. È chiaro come qualunque ragionamento sulla complementarità tra i due veicoli dell'informazione sia, in questo contesto, terribilmente complesso.
È di questo, e delle strade per rilanciare un prodotto all'altezza dei tempi, che da tempo chiedevamo di poter parlare con l'azienda. Invece, dopo anni di inviti a non disturbare, ci viene comunicato che l'unica strada per uscire da una crisi che avevamo cercato di prevenire sarebbe buttare a mare, come se fosse zavorra, il vero bene della nostra testata giornalistica, ovvero la qualità del prodotto. A venire mortificata è l'intera opinione pubblica moderata, che nel dibattito politico e culturale vedrebbe marginalizzata la voce che più efficacemente in questi lunghi anni l'ha rappresentata.
Noi riteniamo inaccettabile che gli azionisti del Giornale abbiano imboccato questa strategia che a noi pare insensata e contro di essa intendiamo batterci, nell'interesse nostro, dei nostri lettori e della testata stessa.Il Cdr (per la Redazione)
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