I medici si sono riservati di fornire risposte più precise solo quando avranno a disposizione parametri certi dagli ulteriori accertamenti, in particolare quelli che emergeranno dagli esami tossicologici. Per il momento, dopo l'esame autoptico effettuato ieri sul corpicino della piccola Diana, si sa quello che era già noto e anche qualcosa in meno, se così si può dire. Ovvero che questa bambina di un anno e mezzo, lasciata dalla madre 36enne Alessia Pifferi per sei giorni in casa da sola, è deceduta genericamente per stenti, comunque più probabilmente per disidratazione e per sete che per fame. Secondo quanto trapela dalla Procura e dalla questura - l'inchiesta è seguita dalla squadra mobile e dal pm Francesco De Tommasi - infatti sarà comunque complesso individuare la causa precisa della morte. Proprio in quest'ottica assumono una importanza decisiva gli esiti delle analisi della Polizia scientifica sul latte del biberon, trovato accanto alla piccola, per accertare se contenesse benzodiazepine (c'era una confezione di «En», noto tranquillante, nell'appartamento) che la Pifferi, si sospetta, potrebbe aver fatto assumere alla figlioletta.
Le verifiche della Scientifica verranno effettuate con la formula dell'accertamento irripetibile, sul contenuto del flaconcino di «En» per verificare che si tratti davvero di benzodiazepine ma anche sul latte rimasto nel biberon ritrovato nel lettino a fianco di Diana per appurare se vi siano tracce del potente tranquillante. Inoltra la polizia dovrà scoprire se ci siano o meno tracce del Dna della bimba sul beccuccio del biberon.
Dalle analisi autoptiche ulteriori si potrebbe risalire anche all'esatto arco di tempo in cui la piccola è morta. Sembra infatti che il decesso sia avvenuto prima delle 24 ore antecedenti al ritrovamento del corpo.
Intanto, secondo quanto ieri ha scritto l'Ansa Alessia Pifferi - in carcere da giovedì con l'accusa di omicidio volontario nell'ipotesi dell'omissione - è apparsa «frastornata», a tratti piange e a tratti non si rende conto della situazione. A riferire di come sta la donna è chi l'ha potuta incontrare nel carcere di San Vittore dove è rinchiusa in isolamento e sorvegliata a vista sia per evitare eventuali «punizioni» da parte di altri detenuti per via di quella tacita legge che vige dietro le sbarre che non perdona chi si è accanito contro i bambini, sia per evitare che possa compiere gesti autolesionistici.
Intanto, proprio «per capire il percorso mentale che ha potuto portare a un fatto così tragico», i legali della donna - Luca D'Auria e Solange Marchignoli, nominati da ieri al posto dell'avvocato d'ufficio - hanno chiesto per lei una consulenza neuroscientifica e psichiatrica. Gli avvocati hanno quindi già affidato l'incarico a due consulenti tecnici che si sono occupati di parecchi casi di omicidi, tra cui la strage di Erba.
Si tratta dei professori Giuseppe Sartori, ordinario di neuropsicologia forense e neuroscienze cognitive all'università di Padova e di Pietro Pietrini, ordinario di biochimica clinica e biologia molecolare clinica all'università di Pisa.
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