Israele ha in mente di rispondere militarmente all'attacco di Hamas con «qualcosa di molto più grande e vasto» di quanto finora mai visto nell'interminabile conflitto mediorientale e la Casa Bianca non intende porre alcun freno alla rappresaglia che verrà ordinata da Benjamin Netanyahu. A tracciare la previsione è Aaron David Miller, consigliere per il Medioriente di ben sei segretari di Stato, sia repubblicani sia democratici, in un colloquio organizzato da Foreign Policy, nelle stesse ore in cui a Gerusalemme e Washington si stanno prendendo decisioni che potrebbero ridisegnare gli scenari della regione.
Per inquadrare l'atteggiamento dell'amministrazione Biden, Miller individua «tre concetti». Il primo. Nel caso di Biden, «il modello presidenziale da seguire non è quello di Barack Obama, ma quello di Bill Clinton. Biden e Clinton, anche se fanno parte di generazioni diverse, quando si tratta di Israele hanno punti di vista molto simili: amore per Israele e sostegno alla sicurezza di Israele, profondamente radicati nel Dna emotivo e politico di entrambi. Biden ha visto il suo ex capo trattare con Netanyahu e non era convinto che le tattiche e le strategie fossero corrette. E l'idea che ora Biden, da presidente, soprattutto in questo momento, si metta di traverso a Israele è altamente improbabile», spiega Miller.
Il secondo concetto da tenere a mente è la situazione politica Usa. «Il partito repubblicano è per Israele il partito di riferimento. E anche se ciò che accade in Israele probabilmente non influenzerà le menti di un solo elettore americano, questa amministrazione non può permettersi di lasciare che i repubblicani la dipingano come avversaria o ostile nei confronti di Israele», dice l'esperto. E questo ci porta al terzo concetto, anch'esso di natura politica, in vista delle elezioni 2024. Da un lato, spiega Miller, Biden deve decidere «cosa fare riguardo al programma nucleare iraniano». Dall'altro, c'è la prospettiva, anche se forse ormai compromessa, della normalizzazione israelo-saudita, «alla quale l'amministrazione è molto, molto interessata. La realtà è che Netanyahu è al centro di entrambe queste crisi e per tutti e tre questi motivi, mi sembra che l'amministrazione abbia preso la decisione strategica di dare agli israeliani il tempo, lo spazio e il sostegno per fare ciò che faranno».
Al di là degli apparenti contrasti con Netanyahu, per capire come si muoverà la Casa Bianca «bisogna guardare agli ultimi 10 mesi, al modo in cui l'amministrazione si è impegnata con il governo più estremista e di destra della storia di Israele. Non ho mai visto un'amministrazione impegnarsi con un governo israeliano con tale frequenza e a così alto livello». Insomma, anche se dovessero esserci dei costi umani enormi nella risposta israeliana contro Hamas, compresa la sortedei possibili ostaggi Usa, e anche se Biden è in passato apparso «infastidito» con Netanyahu, «ora non è in grado o non è disposto a imporre alcun costo serio a Israele. E se non potevano o non volevano farlo prima del 7 ottobre, certamente non sono disposti e non possono farlo adesso».
Forse, dice Miller, è un atteggiamento «moralmente ed eticamente sbagliato. Ma penso che l'amministrazione abbia già previsto la possibilità che ciò che vedremo a Gaza andrà oltre qualsiasi cosa gli israeliani hanno fatto in passato».
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