Scheda bianca, fumata nera. Il Parlamento in seduta comune questa mattina, riunito per la dodicesima volta per eleggere i nuovi giudici della Corte Costituzionale, non potrà fare altro che prendere atto della mancanza di un accordo tra i partiti per coprire i quattro seggi della Consulta da tempo vacanti. Ai quattro «pensionati» si aggiungerà la settimana prossima l'attuale presidente Augusto Barbera, che ieri sottolinea le difficoltà di funzionamento cui la Corte va incontro a causa degli organici ridotti: «Auspico che il Parlamento riesca rapidamente ad eleggere i giudici costituzionali in scadenza perché siamo già in ritardo e corriamo dei rischi di avere un collegio sottoposto a qualsiasi virus del raffreddore o dell'influenza».
A causare l'impasse non è, una volta tanto, lo scontro tra maggioranza e opposizione sui quattro posti disponibili. L'accordo tra le forze politiche prevede che due giudici vengano espressi dalla maggioranza di governo, uno dal Partito democratico e il quarto sia un tecnico senza casacca. All'interno del centrodestra l'unico nome certo è quello di Francesco Saverio Marini, indicato da Fratelli d'Italia: le polemiche contro la candidatura di Marini, basate sul fatto che attualmente è consigliere giuridico della premier Giorgia Meloni, hanno avuto in realtà l'effetto opposto, blindando la sua designazione alla Corte. Più fluida la situazione all'interno di Forza Italia, dove i due nomi «papabili» corrispondono entrambi a nome di peso: uno è Pierantonio Zanettin (nella foto), da vent'anni parlamentare azzurro, già membro del Consiglio superiore della magistratura; l'altro è Francesco Paolo Sisto, viceministro della Giustizia. La pratica è sul tavolo del vicepremier Antonio Tajani, ma la «quadra» non sembra ancora a portata di mano. Ma la partita è tutta aperta anche dentro il Pd, dove la candidatura dell'ex ministro Anna Finocchiaro non raccoglie consensi unanimi, e nemmeno appare a portata di mano una convergenza sul quarto nome, quello del «tecnico», dove il nome di Elisabetta Casellati, ex presidente del Senato, viene considerato troppo schierato.
La data della nuova riunione in seduta congiunta del Parlamento non è ancora nota, ma l'obiettivo è arrivare il prima possibile a una soluzione. Anche perché, oltre ad agevolare i lavori della Corte, il turnover cambierebbe in senso moderato gli equilibri al suo interno, finora condizionati dalla presenza al vertice di un giurista tanto autorevole quanto schierato a sinistra come Augusto Barbera, che ha fatto sentire la sua voce nella recente sentenza sulla riforma delle autonomie differenziate, uscita malconcia dall'esame della Consulta. Dopo Barbera, in base al criterio quasi sempre seguito dell'anzianità, la presidenza dovrebbe toccare a Giovanni Amoroso, attualmente vicepresidente: non è facilmente etichettabile perché non è stato designato dalle Camere ma dalla Corte di Cassazione, dove era presidente di sezione.
I suoi colleghi lo hanno votato a larga maggioranza nell'ottobre 2017, sconfiggendo il candidato delle sinistre Renato Rordorf; Amoroso ha fama di moderato, vicino alla corrente centrista di Unicost. Se sarà lui a presiedere la Consulta, il suo voto sarà determinante nel vagliare le leggi con cui il governo si prepara a tappare le falle nella autonomia differenziata aperte dalla recente sentenza.
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