Niente da fare: ottavo giro, ottava fumata nera. La seduta comune del Parlamento non elegge, ancora una volta, il giudice costituzionale mancante.
Il centrosinistra esce dall'aula, il centrodestra (dopo un'ultima notte di trattative frenetiche con gruppo Misto, Autonomie, singoli grillini) si arrende e decide di votare scheda bianca. La votazione è nulla. Sembrava la volta buona: Palazzo Chigi aveva messo sul tavolo il proprio nome, il costituzionalista Francesco Saverio Marini, «padre del premierato», e spinto sull'acceleratore per il voto. «Tutti convocati» in maggioranza, tra fughe di notizie e dure polemiche sui messaggini finiti ai giornali. Che hanno acceso l'allarme nel centrosinistra: da solo, il centrodestra non ha i numeri per superare il quorum dei tre quinti dei componenti, 363 voti. «Fino a dieci giorni fa», racconta la capogruppo Pd Chiara Braga, «dalla maggioranza ci assicuravano che si sarebbe trattato su tutto il pacchetto di quattro giudici della Consulta che scadono a fine anno. Poi l'improvvisa tentazione del blitz: è evidente che avevano avuto assicurazioni su un buon numero di voti da qualcuno della nostra sponda, anche per compensare assenze e franchi tiratori dalla loro parte». Nomi non ne fa, ma nel Pd tutti puntano il dito su uno solo: Giuseppe Conte. E su quei recenti contatti, mai smentiti, tra la premier e il capo 5s. «È stato il suo nume tutelare Guido Alpa a dare l'ok su Marini», assicura un senatore Pd. Rai, Consulta, nomine: i sospetti sull'ex premier si moltiplicano. E così i più accorti navigatori parlamentari consigliano a Elly Schlein la via per stanare le quinte colonne: tutti fuori dall'aula. «Così abbiamo incastrato Conte, già pronto a dire che, in nome dell'appello di Mattarella sul plenum della Consulta, era giusto votare. Poi, nel segreto dell'urna, nessuno avrebbe potuto dire da chi era arrivato l'aiutino, e lui avrebbe sicuramente accusato noi», dice un dirigente dem. Dal centrodestra arrivano conferme indirette: a chi gli chiede se contassero sull'aiuto 5s, il capogruppo Fdi Foti replica: «Certo non è colpa nostra se gli altri non li fanno votare perché non si fidano». Un altro meloniano, alla stessa domanda, risponde semplicemente: «Sì, avevamo assicurazioni».
Invece il capo 5s si è dovuto per forza accodare all'Aventino, e a voto finito lo ha pure rivendicato: «È fallito il blitz di Meloni, li abbiamo lasciati soli in aula con le loro paranoie».
Ma il gelo tra Pd e M5s è ormai a livelli artici, e il siparietto andato in scena ieri mattina al Senato lo conferma: convegno della Fondazione Gimbe che presenta il suo rapporto sulla Sanità, due poltrone in prima fila riservate a Schlein e Conte, con tanto di cartello. La segretaria Pd si accomoda, Conte sceglie di restare in piedi, a fondo sala. I due neppure si salutano. «Del resto - racconta ai suoi Carlo Calenda - giorni fa Schlein ha chiesto a me di parlare con Conte per organizzare un'iniziativa comune delle opposizioni. A me? Pensa che alleanza».
Elly Schlein fa finta di niente: «Ci siamo sentiti e coordinati, tutti insieme compatti li abbiamo fermati», esulta, «ora serve il dialogo». Nel centrosinistra sono certi che ora si dovrà aprire una trattativa su tutti e quattro i giudici da rimpiazzare entro l'anno. E le gole profonde del Pd dicono che Elly ha già il suo nome per il posto che spetterà all'opposizione: il toscano Andrea Pertici, cooptato da Schlein nella Direzione del Pd, e legato all'attuale segretaria dai tempi della comune militanza in Possibile, partitino anti-renziano di Pippo Civati. Tentò anche, senza successo, la candidatura con la dalemiana Leu.
Poi, da giurista, difese davanti alla Consulta le ragioni della Procura di Firenze nel conflitto di attribuzioni col Senato per le intercettazioni abusive su Matteo Renzi nel processo Open. Incassando anche lì una sonora sconfitta.
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