Nei primi giorni della guerra in Ucraina, quando a parole eravamo pronti ad aprire le porte di casa nostra ai poveretti che fuggivano dalle bombe, conoscevamo i nomi delle vittime degli attacchi. Noi giornalisti pubblicavamo le loro foto, raccontavamo le loro storie. Poi quei nomi sono diventati numeri. Parecchi numeri. Senza più storie.
E così, bombardamento dopo bombardamento, anche noi ci siamo anestetizzati: i morti da 100 sono diventati mille, 10mila. Ma che differenza fa? Quando sono tanti, quando sono pochi? Abbiamo iniziato a contarli a cifra tonda, senza soffermarci sulle unità. Come fossero se si potesse approssimare «per comodità» senza pensare che dietro alle cifre ci sono corpi da seppellire.
Qualche settimana fa, una stima del Wall Street Journal ha parlato di un milione di vittime, in Ucraina e in Russia, dopo due anni di conflitto. Un milione, cifra tonda, vita più vita meno. Ora si comincia con un'altra conta dell'orrore, in Libano: altre decine che diventano in pochi giorni centinaia.
NUMERI SENZA LACRIME
Ma cosa ci è successo? Come abbiamo potuto normalizzare una cosa tanto atroce come la conta dei morti? Non siamo noi senza cuore, ma è (anche) una questione di narrazione. Lo spiega bene lo psichiatra Paolo Crepet nel suo ultimo libro «Mordere il cielo». Si domanda cosa sia successo alle nostre emozioni, come sia possibile arrivare ad atrofizzarle. E parla anche della guerra: «La conta dei morti e dei feriti si perde tra le notizie come se non si potesse essere altro che spettatori di fronte al più atroce mercato di esseri viventi». Le uccisioni dei bambini vengono spesso considerate «conseguenza inevitabile degli attacchi». Eh, erano lì dove dovevamo lanciare la bomba. E i video delle case distrutte diventano materiale da «scrollare» su Instagram tra lo sketch di un comico e un consiglio di skine-care. Da due anni. Per forza abbiano normalizzato tutto. Anche perché i fronti di guerra sono due: Ucraina e Gaza.
E non dimentichiamo che arriviamo da una pandemia in cui i bollettini quotidiani di morti e contagiati prima ci hanno terrorizzato, poi commosso, poi stufato per l'eccessiva ridondanza. Tanto da arrivare a non ricordarci nemmeno quante vittime di Covid ci sono state.
Tornando alla guerra. Al di là dell'emotività dei numeri, leggere i dati di un conflitto è una faccenda complessa, quasi mai neutrale. Ma importante per dare la dimensione di quanto sta accadendo, il più possibile in tempo reale.
Ogni guerra ha un suo criterio. A volte si enfatizza sul numero dei soldati uccisi, altre si estrapola il numero dei bambini. A volte si fa un paragone tra il numero degli attacchi, altre ancora si evita per non dichiarare esplicitamente sconfitte e spese.
IL RISCHIO FAKE
A Gaza il conto delle vittime avviene dal primo giorno da parte del Ministero della salute ed è comunicato sul sito dell'ufficio statistico nazionale. Sulla homepage ci sono cinque riquadri in cui vengono sintetizzati i principali numeri: vittime, feriti, sfollati, detenuti, case distrutte. Ogni riquadro ha varie sotto categorie: donne, bambini, medici, giornalisti. Le cifre del Ministero sono però state contestate dalle autorità israeliane, dall'Onu e dall'Oms.
Le Nazioni Unite hanno, al momento, dimezzato le stime delle vittime identificate tra i bambini e le donne a Gaza: non 24mila ma circa 13mila. Oltre 40mila i morti complessivi. I numeri ufficiali restano tragicamente alti, ma sono meno di quanto dichiarato da Hamas.
Per di più il grafico dei decessi totali aumenta con una linearità «da metronomo» e desta i sospetti di Abraham Wyner, docente di Statistica e Data Science alla Wharton School dell'Università della Pennsylvania, che parla esplicitamente di fake. «Sarebbe realistico aspettarsi una variabilità - spiega - ma le vittime aumentano di un numero sempre troppo simile a se stesso. Sarebbe normale ci fossero giorni in cui ne viene registrato il doppio, rispetto all'aumento medio, e in altri la metà».
Tutt'altra storia quella della conta dei morti in Ucraina: Kiev non vuole parlare delle vittime e nemmeno degli attacchi. La Russia ne ha fatti di più e raccontarlo potrebbe significare un'ammissione di debolezza, anche se il numero delle battaglia è quasi uguale. Il costo del conflitto bellico - che a Gaza viene massimizzato - viene invece minimizzato.
E la Russia? Nemmeno a dirlo. Basti pensare che Mosca usa «la disinformazione come arma», quindi non si può pensare a una comunicazione scientifica dei numeri ma a una propaganda mirata.
I NUMERI INDIPENDENTI
Da qui l'importanza di enti indipendenti, data base che formulino statistiche e censimenti. Ognuno con un suo metodo. Esiste Acled, organizzazione statunitense non profit con sede negli Stati Uniti, che fornisce dati in tempo reale su tutte le crisi in corso prendendo informazioni dagli istituti di statistica di ogni paese. C'è poi Uppsala Conflict Data Program, non aggiornato in tempo reale ma costruito attraverso le ricerche di eventi di violenza con vittime dal Dow Jones Factiva, aggregatore di contenuti che a sua volta attinge a 30mila fonti in diverse lingue.
«I numeri sono necessari - commenta Orsola Torrisi, ricercatrice alla New York University di Abu Dhabi, demografa - e l'unica strategia valida per far sì che non si crei assuefazione è quella di educare e insegnare a comprendere le unità di grandezza. Il ruolo dei ricercatori è presentare evidenze. E l'oggettività del risultato dipende solo ed esclusivamente dalla bontà dei dati e dalla buona fede dei ricercatori».
I METODI
Entrando nello specifico dei metodi della «conta», in passato il metodo più comune era quello di attendere la fine del conflitto e utilizzare successivamente questionari da sottoporre ai sopravvissuti in cui si pongono domande relative a familiari e conoscenti morti. Questo metodo è stato utilizzato per la guerra in Rwanda e in Bosnia e chiaramente porta a una grande sottostima delle vittime. «Invece - spiega Torrisi - in contesti per cui esistono anagrafi funzionanti, per esempio Gaza o Azerbaijan, e il sistema continua, anche se più a rilento, a fare recording dei decessi, allora si possono utilizzare i dati precedenti al conflitto per creare una baseline di quelle che sarebbero state le morti che ci saremmo aspettati sulla base delle serie storiche se il conflitto non fosse accaduto. Si chiama calcolo dell'eccesso della mortalità, ormai tanto conosciuto dal tempo del Covid.
L'eccesso può essere calcolato anche con dati non convenzionali, ad esempio altri tipi di registro (funerali, passaggi di proprietà) tenendo ben presente che questo tipo di calcoli producono molto spesso delle sottostime».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.