Carlo Calenda chiama, Giuseppe Conte (nella foto) risponde. Il leader di Azione annuncia una mozione di sfiducia in Parlamento contro Matteo Salvini, vicepremier e ministro delle Infrastrutture. Il gancio di Calenda è la morte del dissidente russo Alexei Navalny. L'ex ministro accusa Salvini di ambiguità sulla Russia e chiede al segretario della Lega di chiarire i rapporti tra il Carroccio e Russia Unita, compreso un accordo firmato nel 2017 con il partito di Vladimir Putin. A sorpresa reagisce subito Conte. L'ex premier annuncia il suo sì alla mozione: «Sì, la sosterremo. Se l'accordo è quello anticipato sui giornali, la Lega e il suo leader devono risponderne». E pazienza se i leghisti hanno sempre votato a favore degli aiuti militari all'Ucraina, a differenza del M5s. A giugno del 2022, il no pentastellato alle armi a Kiev aveva fatto «guadagnare» a Conte il plauso di Sergey Razov, che era ambasciatore russo a Roma. L'ex premier per primo dovrebbe chiarire i suoi rapporti con Putin.
La vicenda più oscura è la missione «Dalla Russia con amore». Siamo a marzo 2020, l'Italia è colpita duramente dal Covid. In quei giorni arriva in Italia una delegazione di militari russi, per quella che viene presentata come un'operazione umanitaria. La spedizione a Bergamo e provincia, zone martoriate dalla pandemia, viene lanciata da Mosca dopo una telefonata tra Putin e l'allora premier Conte. Sono tanti i dubbi sulla sfilata dell'esercito della Russia per le strade della Lombardia. Sospetti suffragati da una mail spedita alla Farnesina (guidata da Luigi Di Maio) dall'ambasciata russa. Le richieste di Mosca? La «bonifica» di tutte le strutture pubbliche e la pretesa, accordata, che le spese dell'intervento fossero tutte a carico dell'Italia. Un anno prima, a luglio del 2019, Conte faceva questa promessa a Putin: «L'Italia lavora per superare le sanzioni alla Russia». Ancora l'attuale leader grillino, a ottobre del 2018, dopo la sua prima visita a Mosca da premier: «Con Putin è nato un rapporto di amicizia».
Nel 2018 il programma elettorale originale del M5s giustificava «i timori della Russia», «a fronte del progressivo allargamento della Nato». Nel 2016 gli allora deputati Alessandro Di Battista e Manlio Di Stefano avevano partecipato al congresso di Russia Unita, tra abbracci, selfie e promesse di collaborazione.
Nello stesso anno Di Maio era perentorio: «Le sanzioni non funzionano». Nel 2017 un esponente del partito di Putin aveva detto che la sua forza politica era pronta a firmare un gemellaggio con il M5s. E Beppe Grillo? Sempre nel 2017 non aveva dubbi: «Servono uomini forti come Trump e Putin».
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