«Una piattaforma telematica idonea a assicurare trasparenza e segretezza»: questa era stata la promessa di Federico Cafiero de Raho, capo della Dna, la Procura nazionale antimafia, alla commissione Giustizia della Camera. Era il 17 settembre 2019, e Cafiero de Raho era impegnato nella battaglia per fare della sua Procura il terminale unico delle segnalazioni per operazioni sospette provenienti dalla Banca d'Italia. É andata a finire come si sa, con l'ufficio creato da Cafiero divenuto un colabrodo di notizie segrete e di dossier. Leggere oggi la memoria che l'allora procuratore nazionale - divenuto nel frattempo deputato grillino - aveva mandato al Parlamento è istruttivo, non solo perchè vi compare quella promessa clamorosamente mancata. Ma perchè vi si legge l'insistenza, quasi l'accanimento di Cafiero nell'ottenere dal Parlamento e dal governo i pieni poteri nella gestione delle sos, a costo di scontrarsi con i capi delle procure locali: che dovettero chiedere l'intervento del procuratore generale della Cassazione, Giovanni Salvi, perchè arginasse l'invadenza di Cafiero.
La richiesta del procuratore nazionale era chiara: portare nelle mani della Dna non solo le segnalazioni relative ai reati di sua competenza ma anche «in materia ulteriore e diversa da quelle relative alla criminalità organizzata mafiosa ed al terrorismo». Nella memoria presentata alla commissione il procuratore se la prende con la presidenza del Consiglio (da dodici giorni Giuseppe Conte è succeduto a se stesso) che ha «totalmente cassato» la norma dal decreto che doveva recepire una direttiva europea. «Non sarebbe stato attuato - scrive Cafiero - lo straripamento delle funzioni della Dna ma soltanto la velocizzazione delle comunicazione alle procure interessate, abolendo i ritardi derivanti dalla mancanza di conoscenza degli uffici giudiziari. La Direzione nazionale antimafia avrebbe svolto un servizio di grande importanza per le procure ordinarie». Escludere la norma voleva dire per Cafiero «impedire significative innovazioni strategiche in tema di contrasto ai fenomeni criminali». Tra i temi su cui mettere le mani, il procuratore indica la corruzione e le norme introdotte dalla cosiddetta legge «spazzacorrotti».
Cafiero, insomma, si candida ad accentrare un patrimonio gigantesco di dati sensibili provenienti dalle sos, e di smistarle poi lui alle procure di competenza. Al progetto si oppongono, nella riunione con Salvi, i capi delle cinque più importanti procure d'Italia. Sulla carta, il piano si blocca.
In concreto, si scopre ora, la Dna ottiene il monopolio delle informazioni. Anche di come questo sia accaduto Cafiero dovrà dare qualche spiegazione, quando verrà convocato dalla commissione Antimafia di cui egli stesso è oggi vicepresidente.
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