"Così sogno di diventare la Ferrari dei bolidi elettrici"

Il patron della Geox e l'avventura con un team in Formula E: «Come quando dicevano: ma dove vai con le scarpe bucate?»

"Così sogno di diventare la Ferrari dei bolidi elettrici"

Se un uomo dice «noi saremo come la Ferrari in F1», lo guardi, non gli credi, sorridi e tiri avanti. Se quell'uomo ha creato un impero vendendo suole bucate, cambi idea, ti fermi, rifletti e lo ascolti. Con molta attenzione. Se un uomo che non c'entra con quel mondo racconta di sport e tecnologia e monoposto elettriche, pensi che si stia maldestramente impadronendo di argomenti e mondi non suoi. Se quell'uomo svela invece di quel poster di Enzo Ferrari «appeso nella camera in collegio, mentre cullavo il sogno, un giorno, di possederla», oltre ad ascoltarlo inizi a prendere appunti.

Mario Moretti Polegato, il signor Geox, è quell'uomo. Ora non solo patron della più grande azienda di calzature del Paese, trentamila addetti in cento paesi fra indotto diretto e indiretto, non più solo professore universitario in atenei come l'MIT e Oxford, ma anche costruttore di monoposto elettriche. Costruttore come usa adesso, stile Marchionne, stile Alfa Romeo Racing in F1: cioè in veste non di sponsor ma di vero partner finanziario che dà il nome alla scuderia condividendone obiettivi, sacrifici, sogni di trionfo e paure di fallimento. «Geox Dragon si chiama, ci siamo uniti alla struttura di Jay Penske, suo padre Roger ha vinto 15 volte Indy 500. E ora siamo l'unico team italiano in Formula E» spiega con l'entusiasmo che da giovane gli aveva consentito di scardinare le porte che si chiudevano in faccia quando andava a proporre l'idea delle scarpe che respirano grazie ai buchi.

Un team. Non le era bastata la fortunata sponsorizzazione sulla Red Bull dei 4 mondiali di Vettel?

«La sfida è nel nostro dna. E quale sfida migliore di affrontare Bmw, Audi, Nissan, Jaguar... Me lo sono chiesto, sa? Riusciremo a competere con le più grandi case automobilistiche del mondo? E allora mi è venuto in soccorso il ricordo degli inizi, quando andavo in giro a parlare delle scarpe con i buchi e nessuno ci credeva. Un giorno, arrivato a Milano per proporle, mi risposero: Ma dove vuoi andare con le scarpe bucate?».

Dove vuole andare adesso?

«A vedere il futuro nel presente. È questo il nostro messaggio. Ben sapendo che il mondo, oggi, è cambiato, è in continua evoluzione, e con esso la gente. Le persone hanno ora una maggiore consapevolezza dell'ambiente. Questo è il motivo principale che ci ha spinto ad entrare nella Formula E».

Una scelta di business.

«Che combini però tecnologia, visto che noi siamo nati dalla tecnologia, con il desiderio di sviluppare un progetto di sostenibilità. Il mondo intero sta maturando e desidera respirare aria sempre più sana e pulita. Ed è perfetto investire nell'auto elettrica, nelle competizioni che accelerano il progresso e l'adozione di nuovi sistemi. Pensi che un anno fa queste monoposto dovevano fermarsi a metà gara perché le batterie non duravano l'intera corsa; adesso non è più necessario. E poi c'è l'aspetto economico: i costi dell'elettrico sono prossimi allo zero. Tempo fa, per curiosità, sono tornato in Veneto da Milano usando un'auto totalmente elettrica. Ho fatto il calcolo: avevo speso un euro e venticinque. E io voglio esserci in quest'avventura, noi vogliamo esserci. L'auto elettrica cambierà la vita delle famiglie; e pensi la meraviglia di ricreare nelle città, oltre a un clima salubre, il silenzio della natura. Anche per questo, abbiamo deciso di sponsorizzare l'intero evento di oggi a Roma».

Dicono che per magia siano sparite le buche in strada...

«Se è successo è positivo. Ma l'ecosostenibilità è ben più importante e riguarda tutto il mondo. E gare come quella di Roma rappresentano un trampolino di lancio verso una nuova era. Per questo è un bene il coinvolgimento dell'Italia. Ricordiamoci che non siamo solo il Paese del cibo, della moda, ma anche della tecnologia. E come oggi c'è la Ferrari che si fa onore in F1, vedrete che ci saremo noi a portare alta la bandiera dell'Italia in tutto il mondo. Un Paese, il nostro, che proprio in un periodo così particolare come l'attuale ha bisogno di entusiasmo e orgoglio».

Ha bisogno di molto più che la Formula E.

«Però guardi i luoghi dove si tengono le gare, nel centro delle città. A Roma come a New York. Guardi il pubblico. È diverso da quello della F1. Molte donne, molte ragazze, molti giovani. Quegli stessi ragazzi che, poco tempo fa, abbiamo visto protestare in tutto il mondo contro l'inquinamento. Non stiamo parlando di un club di ragazzi, parliamo di masse di giovani e del futuro. E visto che il futuro è dei giovani, noi siamo con loro. E sia inteso: non è che stiamo cercando di capirli, è che hanno proprio ragione loro».

Tempo fa li ha definiti ragazzi smartphone.

«Perché il mondo è cambiato, ma non si è stabilizzato. È in continua evoluzione e con estrema rapidità. Cambiamenti figli della tecnologia, dell'elettronica, degli smartphone, e se noi industriali saremo capaci di seguire questo rapido progresso, allora resteremo sul mercato. Altrimenti ciao! Questi ragazzi vanno ascoltati, capiti, dobbiamo comprenderne le abitudini, come si muovono. All'Accademia di Mosca ho tenuto una lezione: erano giovani russi che vogliono vivere come noi, come americani, senza guerre, senza bugie, senza ingiustizie, che amano lo stesso cibo, la stessa musica».

Parla dei giovani, però mai come adesso, in Italia, è complicato essere giovane.

«È vero, c'è un'incomprensione fra le nuove generazioni e il mondo governato da una classe matura. Una classe al potere sotto choc per i cambiamenti. Per cui i ragazzi non si riconoscono in essa».

Poi succede che il governo tagli gli incentivi ai piani di sviluppo proiettati nel futuro come Industria 4.0...

«Un Paese per essere forte deve avere una politica forte. L'imprenditore ragiona sul breve, il politico sul medio lungo. Servono insieme per portare avanti l'economia. Oggi l'Italia è congestionata dai problemi, ogni giorno vediamo di tutto. Non possiamo pensare di poter partecipare a un mondo sempre più globale se prima non facciamo chiarezza e pulizia da noi. Il rischio è che l'individuo onesto venga calpestato. Quanto all'Industria 4.0, è una via assolutamente indispensabile. Anzi, aggiungo che se fossi il governo, stimolerei il Paese perché potessero rinascere altre Olivetti. È quello il futuro. Noi avevamo aziende così. Non sono le braccia il futuro.

Ha detto che pizza e caffè espresso sono italiani, ma a farci i miliardi sono altri...

«Questo riguarda il mio ruolo di professore universitario. Nelle lezioni che tengo alla Columbia o all'MIT o in altri atenei, cerco di spiegare che, storicamente, l'Italia è sempre stato il Paese delle invenzioni e della massima concentrazione di idee. Pensiamo ai nostri geni; abbiamo aperto strade in ogni settore: architettura, meccanica, moda, alimentazione, arredamento. Però molto spesso i nostri geni sono poi rimasti a livello artigianale. È mancato il salto. Non sono riusciti a crescere per diventare competitivi a livello mondiale. Questo è accaduto perché da noi manca ancora la cultura del valorizzare e proteggere le idee. Per questo insegno nei corsi che tutti possono ripetere il successo che ho avuto io con le scarpe bucate. Per riuscirci devono però, se hanno un'idea, brevettarla subito. Innovare vuol dire creare qualcosa. Poi arriva la fase della sperimentazione. E qui è difficile perché entrano in gioco le conoscenze che non si hanno o i soldi che mancano. Ma non bisogna demordere. Ad esempio, il nostro Paese è pieno di università con eccellenti laboratori pubblici dove i professori ci possono aiutare, bisogna appoggiarsi ad essi. È questa la cultura che manca da noi e che dovrebbe diventare materia d'insegnamento in tutte le scuole, di ogni ordine e grado».

E a un giovane cosa consiglierebbe?

«Di ascoltarsi per individuare le proprie predisposizioni... Cantante, tecnico, professore, operaio, ingegnere... E poi diventare imprenditore di se stesso».

In che senso?

«Significa che se io sono un operaio della ditta Rossi e lavorando a una macchina modifico qualcosa migliorandola,

io operaio ho il diritto per legge di andare a brevettare la mia idea. E il giorno in cui, nel futuro, l'azienda che produce quella macchina introdurrà migliorie simili alla mia, quel giorno dovrà venire a bussare da me».

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