«Non è la prima volta che la 'ndrangheta usa altri detenuti per i suoi scopi: dare battaglia per abolire l'ergastolo ostativo e cancellare il 41 bis. Secondo la mia esperienza sono gli 'ndranghetisti i protagonisti che agiscono nell'ombra». Sul caso di Alfredo Cospito, l'anarchico che con il suo digiuno ha creato un caso politico che sta mettendo in difficoltà il governo, parla al telefono il collaboratore di giustizia Luigi Bonaventura, rampollo che ha reciso i ponti con il potente casato dei Vrenna-Bonaventura di Crotone, emanazione diretta del più potente clan di mafia di Reggio Calabria dei De Stefano. Quando nel 2006 il padre scoprì che voleva pentirsi provò ad ucciderlo ma si beccò da lui una pallottola nell'inguine. «Il modus della 'ndrangheta è questo, agisce muovendo criminali, anarchici, appartenenti alla camorra o a falangi estreme laziali o campane esperte in guerriglia urbana. Gli anarchici si mescolano anche agli ultras, come contropartita di solito i boss danno loro armi e droga». La mente torna alle rivolte nelle carceri contro il Covid, che tra il 7 e il 9 marzo misero a ferro e fuoco almeno 70 penitenziari. Nessuno in Calabria e Sicilia. Molti in Campania, dove la camorra vive di droga e cellulari nel carcere, altrimenti non comanda più tra le sbarre. «Lo stesso Raffaele Cutolo negli anni Ottanta usò le Br per scatenare la guerra in carcere», ricorda il collaboratore di giustizia. Quelle rivolte poi portarono alla legge Gozzini del 1986 che per la prima volta introdusse in via temporanea il carcere duro.
Com'è il 41bis?
«Qualche mafioso pensa che la galera sia una vacanza. Il 41bis non è così, ho avuto i miei parenti all'Asinara che erano diventati dei fantasmi. Non hai rapporti, non ci sono fornelli, non puoi comunicare con l'interno con i detenuti. Ultimamente le maglie si sono allargate, forse anche questo ha creato un po' di scompiglio durante il Covid».
Cos'è stato il Protocollo Farfalla?
«Le informazioni dei boss, anziché essere comunicate ai magistrati, venivano filtrate dai servizi segreti. Qualcuno chiama infami i collaboratori di giustizia, i veri infami sono i confidenti che giocano con due mazzi di carte».
Malapianta, Heracles, AEmilia: ai processi le sue rivelazioni hanno inflitto un duro colpo alle cosche calabresi.
«Mio nonno materno Luigi Vrenna era un pezzo grosso, comandava da Catanzaro a Taranto, alla pari di Antonio Macrì, Mico Tripodo e Girolamo Piromalli. Il boss mafioso Stefano Bontade lo conosceva benissimo, lo chiamava il Califfo».
C'è stata una trattativa Stato-mafia secondo lei?
«Non ho riscontri, ma io sono un soldato. E sul campo di battaglia si trova sempre un accordo. Lo fanno tutti, lo stanno facendo anche Putin e Zelensky. Io penso però che c'è una tacita trattativa che si consuma ogni giorno».
Com'è la vita da collaboratore di giustizia?
«Siamo abbandonati».
Cosa dovrebbe fare il Guardasigilli Carlo Nordio?
«Dovrebbe dare più forza al programma di protezione e far funzionare davvero la mimetizzazione. Deve essere più facile per uno come me diventare Marco Rossi, con un cambio di generalità definitiva e un inserimento lavorativo. Servono accordi bilaterali con altri Stati per eventualmente trasferire all'estero i denuncianti. E serve un modello europeo di contrasto alle mafie».
Che ne pensa dell'arresto di Matteo Messina Denaro?
«Secondo me aveva organizzato la sua resa e come Pollicino ha lasciato qualche traccia. Ma la sua azione di marketing globale ha rilanciato il brand mafia».
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