«La cybersicurezza è un tema complesso, e bisognerebbe investire di più non solo sulle tecnologie ma anche su chi le deve usare. La vicenda EyePyramid lo dimostra». Partito da Milano quasi 20 anni fa come giovane pirata della rete, Roberto Martelloni ha cominciato a occuparsi di sicurezza informatica quando era ancora un concetto astratto, affidato alla sperimentazione. Oggi, dopo aver lavorato per aziende come Eni e Finmeccanica, vive a Dublino e lavora per Citigroup, colosso dei servizi finanziari, dove gestisce tutta la strategia che riguarda la sicurezza dei device mobile (MID).
Partiamo dall'inchiesta della procura su Giulio Occhionero, che porta diretta agli USA, passando per una società satellite di Finmeccanica, la Westland. Cosa le suggerisce?
«Che fra le varie aziende di Finmeccanica e della difesa possano esserci lotte e cordate di potere interne non stupisce. E che questo caso tracci una linea relativa a spionaggio interno è grave, lo spionaggio lo è di per sé. Ma se un ingegnere senza particolari capacità tecniche, può intercettare comunicazioni e account di politici e finanzieri è evidente che qualcosa non va».
Quanto è costoso mettere in piedi una struttura così?
«Ormai c'è un vero mercato del cybercrime, e certi strumenti nemmeno si comprano più, si possono affittare per meno di cinquemila euro. Usare un server negli Stati Uniti costa meno di 5 dollari al mese».
Chi sono i clienti più interessati ad un tale servizio?
«Da quel che è venuto fuori, le intrusioni spaziavano dalla politica all'economia, e in alcuni casi gli ambiti erano anche sovrapponibili, quindi è difficile fare speculazioni. Ma lo spionaggio in appalto e subappalto, è una realtà ormai comune anche in Italia, perché nel «pubblico» non ci sono capacità di effettuarlo, quindi ci si appoggia spesso ad aziende private, che sono tante. A Milano per esempio, abbiamo HackingTeam, ma c'è anche Area, una tra le maggiori aziende private del settore delle intercettazioni telematiche».
Wikileaks e post verità. Davvero la rete è diventata il nemico pubblico numero uno?
«Internet è solo un altro mezzo per condividere informazioni. Quindi tutti i problemi che già affliggono il giornalismo, come la propaganda e la strumentalizzazione delle notizie, trovano nella rete un mezzo in più per aver luogo. Per quanto riguarda l'aspetto più politico della faccenda, a Tallinn in Estonia, i vertici militari americani e NATO, insieme ad avvocati ed esperti, stanno già studiando come regolamentare il futuro delle cyberwar e dello spionaggio».
Per elaborare una sorta di convenzione di Ginevra delle guerre cibernetiche?
«Esattamente. Ed esiste già un Tallinn Manual, per definirne limiti e regole».
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