
La decisione di Donald Trump di introdurre i dazi ha fatto venire allo scoperto il partito cinese in Italia ed Europa. Politici, opinionisti, giornalisti tutti con un amore per Pechino strabordante che è esploso nelle ultime settimane. Se i rischi dei dazi americani per l'economia italiana sono un argomento noto, non si pone la necessaria enfasi sul pericolo di un'invasione di prodotti cinesi nel nostro mercato. Così, la ricetta più in voga negli ultimi giorni per rispondere ai dazi di Trump, è gettarsi tra le braccia della Cina attraverso un ragionamento che confonde il partenariato economico con quello geostrategico. Un conto è commerciare con la Cina, un altro considerarla un alleato in politica estera. Per questo è stato un errore entrare nella via della seta e perciò il governo Meloni ne è uscito, eppure Giuseppe Conte continua a difendere quella decisione. Solo pochi giorni il leader grillino rivendicava l'adesione alla silk road initiative: «Nessuno ha strappato l'accordo con la Cina. E quindi partiamo svantaggiati, perché Meloni ha stracciato quell'accordo con Xi Jinping».
Tra i principali fautori di un avvicinamento dell'Italia alla Cina c'è Romano Prodi, da sempre molto legato al dragone rosso spiegando a inizio marzo che «la Cina si sta aprendo all'Europa». Che dire poi di Massimo D'Alema, ormai di casa a Pechino tra interventi televisivi, lezioni e incontri di alto livello. Il partito cinese non si limita all'Italia ma è ben radicato anche in Europa. Ha fatto discutere in questi giorni la visita del premier spagnolo Pedro Sanchez in Cina, si tratta della terza visita di Sanchez in Spagna negli ultimi tre anni ma in questo frangente assume una particolare rilevanza.
Il premier spagnolo ha dichiarato che il suo paese lavorerà «per relazioni tra l'Ue e la Cina in cui prevalgano il dialogo, la reciprocità e l'armonia». Parole a cui ha fatto eco Xi Jinping per cui la Cina «è disposta a costruire un partenariato strategico globale con la Spagna, con l'obiettivo di migliorare il benessere dei nostri popoli, dare un impulso alle relazioni sino-europee e contribuire maggiormente alla pace, alla stabilità e allo sviluppo globali».
Eppure, secondo i dati del Ministero dell'Economia spagnolo, nel 2024 le importazioni spagnole dalla Cina hanno superato i 45 miliardi di euro, mentre le esportazioni sono state di appena 7,4 miliardi di euro, un dato analogo a tutte le principali economie europee (Italia inclusa).
Non è un caso che Sanchez faccia parte dei Socialisti europei, molto vicini alle istanze cinesi in particolare a Bruxelles dove il partito pro Cina è più forte e ha le sue punte di diamante nei fanatici pro Green Deal a cominciare dall'ex commissario Frans Timmermans e dal vicepresidente della Commissione Ue Teresa Ribera.
Proprio la transizione ecologica compiuta con le modalità degli ultimi anni rischia di essere un grande favore alla Cina, dalle batterie alle componentistiche di pannelli solari e pale eoliche realizzate con le terre rare di cui è pressoché un monopolista. La Cina è poi molto attiva attraverso think tank, fondazioni, gruppi di interesse in prevalenza a Bruxelles, non a caso qualche settimana fa è esploso il «caso Huawei».
Oggi l'Europa sta per compiere un errore di cui pagherà le conseguenze: invece di sviluppare una propria autonomia, rischia di affidarsi nei settori strategici alla Cina che, alla prima occasione (Taiwan), userà la nostra dipendenza da Pechino per ricattarci. Vallo a spiegare al partito cinese.
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