Ha voluto ricomporre il puzzle della vita studiando il passato, vivendo il presente senza dimenticare il futuro. Questo futuro sempre più incerto. Che fa scappare i figli all'estero e fa morire i nostri mestieri. All'età di ventotto anni è partita varcando le soglie di Canada e Belgio perché voleva recuperare le storie degli italiani migrati nel secondo Dopoguerra all'estero. E infatti c'è riuscita.
Lei è Francesca Gallo, 43 anni di Treviso. Diplomata in canto lirico al Conservatorio, studia fisarmonica fin da bambina. Il padre aveva una bottega di fisarmoniche che ora lei ha in gestione, il Galliano & Ploner, Galliano dal padre Luciano Gallo e Ploner il marchio più antico italiano. È l'unica bottega in Italia che realizzi fisarmoniche fatte a mano. Francesca sceglie con cura il proprio legno, lo va a prendere nei boschi, stando fuori settimane. Arriviamo in quel suo «eremo», lungo il Sile dove, appena chiusa la porta e lasciato il mondo fuori, si apre un altro mondo. Quello di chi crede nella tradizione, di chi lavora con le mani, di chi cura i dettagli e le sfumature. Quello che un prodotto non sarà mai uguale all'altro perché è un pezzo. Un pezzo unico. Il profumo del legno appena raccolto ci inonda le narici, dopo qualche ora, quel profumo diventa tutt'uno con la stanza. Appese alle pareti ci stanno gli attrezzi di Francesca: cacciaviti e martelli. Tutti divisi per misure. E poi ci sta una foto. Di lei bambina che la ritrae mentre contempla il padre al lavoro. Accanto ci sta una lavagnetta con scritto: «Tradizione è custodia del fuoco, non venerazione della cenere», una frase del compositore Gustav Mahler.
Francesca quella bottega ce l'ha da otto anni. Per realizzare una fisarmonica ci vogliono dalle 450 alle 500 ore. E per lei la fisarmonica è lo strumento che la porta dove vuole arrivare. Quando è partita per il Canada e il Belgio, ne ha una fatta in legno di pero. Realizzata con il padre, della stessa misura dei bagagli a mano dei voli intercontinentali. Grazie a quella, in giro per il mondo per otto mesi si è guadagnata da vivere e ha raccolto canti popolari e storie di italiani che dal Polesine alla Dalmazia un giorno sono partiti. Ha un archivio di oltre 3000 canti tradizionali che ora porta in giro per il mondo: 1400 concerti in 24 Paesi. Una «straccivendola d'anime», ama definirsi.
Perché ha sempre sostenuto che mancasse un pezzo, che la Storia è fatta di tante piccole storie. «Gli italiani che se ne sono andati - racconta al Giornale - si sono portati via la memoria storica dei canti che servono a capire e ricostruire la storia. Tutto parte da un'identità profonda che è la mia, la nostra, con questa trasformazione che da 70 anni ha cambiato completamente l'Italia. I nostri figli scappano all'estero, gli italiani emigrati sono di più degli stranieri che arrivano. C'è un'altra Italia nel mondo. Dove vogliamo andare?».
Una domanda che lei ripete sempre guardandosi attorno in quella bottega che per il fatto di esistere le costa migliaia di euro l'anno. Ma non può tenere nessuno, non può insegnare il mestiere a nessuno, perché la legge non glielo permette. «Troppe spese - spiega lei che è assessore uscente, non ricandidato, di un comune della Marca - troppa burocrazia. Le cose semplici diventano difficili. Mi piacerebbe che tutto questo non si perdesse, ma come si fa? Come si fa a mantenere in vita l'artigianato se non te lo permettono? Come si fa se per insegnare a una persona dovrei fermare la produzione? Questo mestiere, lo si impara vivendolo, osservando, scrutando».
Già, con quegli stessi occhi di lei bambina che sono quegli occhi di lei adulta con cui ora, dice: «Leggo il passato, vivo il presente e progetto il futuro. Perché una freccia con l'arco, prima la tiri indietro e poi la lanci in avanti».
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