Davigo ha violato il segreto d'ufficio. Un anno e tre mesi al "Dottor Sottile" del pool Mani Pulite

Un anno e tre mesi, con pena sospesa. È la condanna inflitta ieri dal Tribunale di Brescia a Piercamillo Davigo, accusato di rivelazione di segreto d'ufficio

Davigo ha violato il segreto d'ufficio. Un anno e tre mesi al "Dottor Sottile" del pool Mani Pulite
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Un anno e tre mesi, con pena sospesa. È la condanna inflitta ieri dal Tribunale di Brescia a Piercamillo Davigo, accusato di rivelazione di segreto d'ufficio. Il Dottor Sottile, ex pm simbolo di Mani Pulite ed ex consigliere del Csm, quello che «non ci sono innocenti ma solo colpevoli non ancora scoperti», negli ultimi 16 mesi aveva dovuto abituarsi al ruolo di imputato. Ora dovrà rassegnarsi a quello di condannato (in via provvisoria: ci sono altri due gradi di giudizio). «Faremo appello», dice al telefono Davigo, che non era in aula, all'avvocato Francesco Borasi che gli comunica la notizia. «Mi rimane nel cuore una profonda tristezza», aggiunge di suo il difensore.

La condanna della Corte presieduta dal giudice Roberto Spanò arriva per la vicenda dei verbali secretati resi alla Procura di Milano dall'avvocato Piero Amara sulla presunta esistenza della loggia Ungheria. La Procura di Brescia aveva chiesto un anno e quattro mesi, mentre la difesa aveva invocato l'assoluzione con la «formula liberatoria più ampia possibile». La sentenza accoglie la ricostruzione dei pm bresciani che accusavano Davigo di aver preso dalle mani del pm milanese Paolo Storari - già assolto per la stessa vicenda in via definitiva al termine del processo abbreviato - i verbali segreti di Amara. L'ex avvocato esterno di Eni svelava l'esistenza di una presunta associazione clandestina. All'imputato ieri la Corte ha riconosciuto le attenuanti generiche e ha concesso «il beneficio della sospensione della pena e la non menzione della condanna nel casellario giudiziario». Le motivazioni saranno rese note fra 30 giorni. Il magistrato in pensione, oltre al pagamento delle spese legali, dovrà risarcire la parte civile, l'ex consigliere del Csm Sebastiano Ardita, «nella misura di 20mila euro».

Le dichiarazioni che hanno scatenato il caso, che tra l'altro ha spaccato la Procura milanese negli ultimi mesi della guida di Francesco Greco, furono rese da Amara in cinque interrogatori tra il 6 dicembre 2019 e l'11 gennaio 2020 nell'inchiesta su un'altra vicenda controversa, quella del cosiddetto «falso complotto Eni». Storari era uno dei titolari di quest'ultimo fascicolo insieme all'aggiunto Laura Pedio. La consegna dei verbali avvenne nell'aprile del 2020, come da ammissione dello stesso Storari, a casa di Davigo a Milano, cui fu data una chiavetta con gli atti secretati (non firmati e in formato word) allo scopo di denunciare la presunta inerzia a indagare da parte dei vertici della Procura milanese sull'ipotetica loggia.

Secondo l'accusa, Storari consegnò i verbali segreti rassicurato dall'allora consigliere del Csm sul fatto che lui poteva riceverli, che nei suoi confronti, vista la funzione, il segreto istruttorio non valeva. Ma Davigo avrebbe agito fuori dalla procedura formale prescritta in due circolari e invece di impedire la diffusione di quegli atti svelò a quasi una decina di persone quelle informazioni rese dal controverso Amara, per screditare il collega Ardita, il cui nome sarebbe comparso nella lista dello scandalo. Ricostruiscono i pm Francesco Carlo Milanesi e Donato Greco, che Davigo nel cortile del Csm lontano da cellulari pericolosi, informò diversi colleghi, in assenza di una ragione ufficiale, del contenuto dei verbali di Amara per metterli in allarme dal frequentare i «consiglieri Ardita e Mancinetti». Mostrò e fece leggere quei documenti su cui la Procura di Milano manteneva il più stretto riserbo. Il vicepresidente del Csm David Ermini, «ritenendo irricevibili quegli atti e inutilizzabili le confidenze ricevute», immediatamente distrusse copia delle dichiarazioni. La «più grave», per l'accusa, è stata la rivelazione a Nicola Morra: «È esterno al Csm, è un parlamentare che non ha nessun titolo per conoscere quelle informazioni. Quella rivelazione è la più grave, ma quelle antecedenti e successive sono ulteriormente illecite». Così ieri dopo il verdetto l'avvocato Fabio Repici, che assiste Ardita: «Era l'unica sentenza possibile nel rispetto della legge, davanti a un reo confesso non si poteva far finta di niente». Per il legale, «c'è stato un tentativo di golpe ai danni del Consiglio superiore della magistratura e il consigliere Ardita era stato visto come uno dei pochi ostacoli» contro cui scagliarsi.

«Oggi - conclude Repici - bisognerebbe ringraziare Ardita per aver mantenuto la dignità dell'Organo di autogoverno della magistratura. Senza un ruolo nel quadriennio e senza l'impegno di pochi altri di tutela delle istituzioni, oggi probabilmente se quella operazione fosse riuscita ci troveremmo davanti a una giustizia più sbandata».

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