Non c'è soltanto l'identificazione della coppia di kamikaze (tra cui una studentessa affiliata al Pkk) nel day after di Ankara. Ma la consapevolezza che l'autobomba di due giorni fa rimette la Turchia nella posizione preferita dal condottiero Erdogan: quella di «sola contro tutti». E consegnandogli su un piatto d'argento una sorta di licenza per fare il bello e il cattivo tempo, tanto in Siria quanto contro gli oppositori interni.Dopo il triste rito della conta delle vittime, giunte a 37, tra cui anche Kemal Bulut, il padre dell'attaccante del Galatasaray Umut Bulut, è la volta della repressione. Con il governo di Davutoglu che spara tre colpi: gli arresti, i bombardamenti sui curdi e le aquile per fermare i droni. I 14 sospetti in manette da ieri, di cui 12 nella provincia nord-occidentale di Eskiehir e due a Istanbul, assieme ai raid aerei nel nord dell'Iraq contro postazioni del Pkk, sono la plastica raffigurazione della strada imboccata dal braccio armato di Erdogan, che si muove sul terreno a lui più congeniale: quello dell'azione e degli attacchi che partono da chi si sente accerchiato, quindi reagisce anche in maniera scomposta, un po' come se avesse un blocchetto di giustificazioni (già firmate) in tasca. Ed ecco i nove F-16 e i due F-4 che hanno colpito i campi di Kandil, una zona del nord dell'Iraq dove c'è la sede del Pkk, distruggendo magazzini di armi e munizioni, mentre nelle stesse ore il cessate il fuoco in Siria è stato violato per 14 volte a Latakia, Daraa, Aleppo, Damasco e Hama per mano del gruppo Ahrar al-Sham, che ha sparato colpi di mortaio sugli insediamenti di Klyaba, Kinsiba e Jabal-Alakaya. Senza dimenticare che sabato scorso l'artiglieria turca aveva bombardato alcune postazioni dello Stato islamico in Siria, per cui da un lato il ministero degli esteri di Mosca denuncia di avere le prove della presenza dell'esercito turco in territorio siriano e dall'altro insiste perché al tavolo dei colloqui di pace siedano anche i curdi. Tornando ai kamikaze, secondo il quotidiano turco Sozcu, uno dei due attentatori corrisponderebbe alla 24enne Seher Cagla Demir, militante del Partito dei lavoratori del Kurdistan ed ex studentessa universitaria unitasi al Pkk nel 2013. È la ragione per cui l'intelligence interna sta scandagliando anche gli ambienti universitari più radicali del Paese. Il prefetto di Eskisehir, Gungoz Azmi Tuna, dopo gli arresti ha parlato di generiche accuse di «propaganda terroristica» e «coinvolgimento in diverse azioni», senza però indicare un legame diretto con l'attacco di Ankara. Inoltre il capo della Direzione generale degli aeroporti turchi (DHMI), Serdar Hüseyin Yldrm, ha annunciato che saranno usate le aquile per fermare i droni che potrebbero arrecare danno ai voli civili, ma il vero obiettivo secondo fonti diplomatiche è salvaguardare la sicurezza nazionale in ottica terrorismo e spionaggio. Le aquile sono capaci di catturare i droni e nelle mire del governo dovrebbero essere la risposta turca all'uso della tecnologia da parte dei nemici esterni e interni. Lo Stato maggiore turco ha annunciato che la Nato, con un Boeing E-3 Awacs, ha iniziato una missione di ricognizione sullo spazio aereo di Ankara. Una Turchia, quindi, che schiera tutto il proprio potenziale offensivo proseguendo anche con l'illiberale blocco dei social network in occasione di attentati come quello del parco Guven, a cui tra l'altro è sfuggito di un soffio l'ambasciatore australiano in Turchia James Larsen, che si trovava lì assieme a sua figlia dodicenne.
Intanto gli ex ambasciatori statunitensi in Turchia, Mort Abramowitz ed Eric Edelman, sferzano Erdogan dalle colonne del Washington Post accusandolo di totalitarismo: «Troppo autoritarismo e instabilità, ha tradito l'enorme potenziale del suo Paese: faccia le riforme o si dimetta».twitter@FDepalo- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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