Decreto "rave party". La Meloni lo difende ma si apre a modifiche

Il premier: "Sono fiera di questa legge". Nordio: "La norma non lede i diritti"

Decreto "rave party". La Meloni lo difende ma si apre a modifiche

La presunta lista di proscrizione è su Facebook. Nicola Fratoianni pubblica l'interminabile elenco delle manifestazioni «alle quali si sarebbe potuto applicare il decreto anti-rave». E via con l'elenco: occupazione del liceo Albertelli di Roma e ancora occupazione della facoltà di Scienze politiche alla Sapienza «dopo le manganellate». Poi il blocco del traffico a Milano e a Padova «per sensibilizzare sul cambiamento climatico» e la manifestazione «contro il rinnovo del memorandum Italia-Libia».

Per la sinistra radicale siamo, insomma, a un passo dalle leggi speciali e per Giuseppe Conte la norma appena varata dal Consiglio dei ministri «è da Stato di polizia». L'opposizione insorge. Ma il governo e la maggioranza non sembrano disposti a tornare indietro. Verranno ascoltati gli illustri pareri di costituzionalisti, avvocati e professori, si terrà conto in Parlamento, in sede di conversione, di critiche e preoccupazioni come sempre suggerire il Guardasigilli Carlo Nordio, ma il testo non verrà cancellato o annacquato. Semmai smussato negli angoli più profondi. Si vuole mettere un argine agli happening, come quello di Modena, cui il nostro Paese sembrava essersi rassegnato ma che si sono sempre svolti fuori dalla cornice della legalità, in edifici pericolanti, con distribuzione di droghe alla luce del sole. Questo permissivismo, par di capire, è finito con il blitz a lieto fine ordinato dal ministro Matteo Piantedosi.

Dunque, si volta pagina. «È una norma che rivendico e di cui vado fiera - scrive sempre su Facebook Giorgia Meloni - perché l'Italia, dopo anni di governi che hanno chinato la testa di fronte all'illegalità, non sarà più maglia nera in tema di sicurezza». E le proteste che vanno dal Pd all'avvocatura? «Le strumentalizzazioni sul diritto a manifestare - replica il premier - lasciano il tempo che trovano ma vorrei rassicurare tutti i cittadini che non negheremo a nessuno di esprimere il dissenso». Nessun allarme democratico, dunque, come pure paventa Enrico Letta. Ma il tiro al bersaglio contro il provvedimento non si arresta. L'avvocato Valerio Murgano, presidente della Camera penale di Catanzaro e coordinatore delle Camere penali calabresi, va giù duro: «È sempre più concreto il rischio che il modello costituzionale di matrice liberale sia diventato oramai un ricordo sbiadito». Anche un costituzionalista di rango come Stefano Ceccanti, ex senatore del Pd, mette nel mirino il nuovo articolo 434 bis del codice penale che punisce appunto «l'invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l'ordine pubblico o l'incolumità pubblica o la salute pubblica». Ecco, per Ceccanti il legislatore è scivolato proprio su quella espressione, «ordine pubblico», che invece la nostra Costituzione evita accuratamente: «La Costituzione parla solo di sicurezza o incolumità pubblica. E io sarei per ripetere le parole della Costituzione e non usare termini ambigui».

Una bordata in qualche modo condivisa anche da pezzi della maggioranza: «Credo che la norma sia stata scritta troppo in fretta - spiega il senatore di Forza Italia Pierantonio Zanettin - e doveva essere orientata al rispetto dell'articolo 17 della Costituzione. Penso che si possa ridurre la pena, portandola da un massimo di 6 a 4 anni. Presenterò emendamenti ad hoc quando il decreto arriverà in Parlamento».

In serata anche il ministro della Giustizia Nordio apre a possibili cambiamenti: «La norma non incide, né potrebbe incidere minimamente sui sacrosanti diritti della libera espressione del pensiero e della libera riunione, quale che sia il numero dei partecipanti. La sua formulazione complessa è sottoposta al vaglio del Parlamento, al quale è devoluta la funzione di approvarla o modificarla secondo le sue intenzioni sovrane».

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