La realtà sbattuta in faccia. «La democrazia non è compatibile con l'Islam». Mohamed Lamine Aberouz adesso ha trent'anni e chi lo ascolta sembra considerarlo più credibile rispetto a sette anni fa. Parla, come ha fatto sempre, con quel tono lento da farlo sembrare saggio, con gli occhiali e la barba nera e scura, i capelli lunghi che si stringono in un chignon e sul viso tatuate le parole del Corano. Il suo teatro è la corte d'assise di Parigi, dove verrà giudicato per terrorismo e il ruolo di «cattivo maestro» nel duplice omicidio di Magnanville. Era il 13 giugno del 2016, al tramonto, e un simpatizzante dell'Isis, un venticinquenne di origine marocchina cresciuto nella banlieue Mantes-la-Jolie, uccide a coltellate una coppia di poliziotti, Jean-Baptiste Salvaing e Jessica Schneider, davanti al figlio di tre anni. L'assassino si chiama Larossi Abballa e questa è la sua jihad. Non vivrà a lungo. La stessa sera viene ferito a morte durante il conflitto a fuoco nell'appartamento dove si era rifugiato. Il suo attentato viene rivendicato dall'Isis, ma a molti sembra l'azione di un lupo solitario. È dopo che nella storia appare Aberouz, la giovane guida religiosa del jihadista.
Il processo stranamente sta appassionando i francesi. È a porte chiuse, ma tutto quello che avviene passa di bocca in bocca. L'interesse non è sul terrorismo, la politica sembra quasi restare sullo sfondo, ma per la cronaca di una storia d'amore. Mohamed ha una complice, una compagna religiosa, che come lui è in carcere per terrorismo e rivendica la sua fede radicale, senza compromessi. Si chiama Sama e ha avuto il permesso di assistere alla prima udienza, con il velo che le copre la testa, sfidando la laicità francese, e con le mani che si toccano la bocca per spedire baci al suo amore. Mohamed mentre parla volge lo sguardo a lei, come per una conferma. È così che la telenovela degli innamorati islamici si prende la scena, ma intorno girano le parole e sono un messaggio chiaro alla società occidentale. Martedì tutti hanno capito che non ci può essere un punto di incontro. Il primo a stupirsi è il presidente del tribunale, che chiede il perché delle sue scelte radicali. E Mohamed risponde: «Perché ora siamo di più. Sono cresciuto a Poissy, ma quella era un'altra Francia e c'erano quasi solo francesi. Ora non è più così». Ma anche lei è francese? «Solo sulla carta. Sul piano amministrativo sono francese e marocchino, ma mi considero un musulmano di origine araba. I francesi per me sono un'etnia». Mohamed Lamine Aberouz ha scoperto la sua spiritualità da adolescente, nel 2009, quando la zia lo invita in Mauritania, per perfezionare l'arabo e studiare il Corano. Si ritrova in una sorta di scuola tradizionale «proprio nel deserto, senza acqua corrente, senza elettricità, con dromedari, mucche». Suo fratello, intanto, viene arrestato in Pakistan mentre cerca di unirsi a un campo di addestramento di Al-Qaeda. Quando Mohamed torna a Parigi si ritrova a fare lavori instabili e a predicare. Il suo obiettivo è «cambiare la Francia». Non ci può essere un'alternativa. I numeri un giorno saranno dalla sua parte. «I valori fondamentali dell'Europa non sono compatibili con la mia vita islamica. Non ci possiamo inserire, perché il lavoro non è compatibile con la nostra fede». Fa un paio di esempi. «Ho lavorato come magazziniere, ma ogni giorno avrei dovuto rinnegare me stesso. Un musulmano non può portare alcolici o carne di maiale sugli scaffali.
È mio dovere pregare più volte al giorno nel tempo stabilito, cosa che molti datori di lavoro non accettano». Sì, si potrebbe liquidare Mohamed come il delirio di un fanatico, ma le sue parole lasciano sul terreno una domanda, a cui lui ha già risposto: la democrazia è compatibile con l'Islam?
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