Siccome non ogni parola arma un Kalashnikov, ma ogni Kalashnikov è sicuramente stato armato da una parola, oggi che l'Ucraina viene trascinata nella violenza vale la pena andare oltre la cronaca militare e la mesta conta delle vite recise, per provare a cogliere nei discorsi dei leader quel filo che dalle ideologie discende fino agli atti. Dall'«ora più buia» di Churchill alle reni spezzate di Mussolini, in guerra ogni discorso ufficiale è una finestra aperta sui meccanismi e sugli ideali che quel conflitto hanno preparato e poi incendiato. E anche quest'ultima guerra non fa differenza: lessico, tono e riferimenti storici sono rivelatori delle visioni del mondo contrapposte, utili ad orientarsi quanto le mappe.
DENAZIFICARE
È il termine che Vladimir Putin ha utilizzato per definire la missione militare: «Bisogna demilitarizzare e denazificare l'Ucraina». Un richiamo alla guerra di resistenza russa contro Hitler e un ribaltamento delle accuse di totalitarismo aggressivo paragonabile a quello del Terzo Reich che la comunità internazionale gli muove. Quella dell'Ucraina nazista è una propaganda che Mosca utilizza fin dai tempi della Seconda guerra mondiale, quando in effetti parte della popolazione ucraina, devastata dall'holodomor, la carestia scientifica con cui nel 1932-'33 Stalin impose la collettivizzazione a costo di milioni di vittime, favorì l'avanzata della Wehrmact in chiave antisovietica. Dipingere l'Ucraina come un Paese nazista (nonostante il presidente Zelensky sia ebreo) pone automaticamente la Russia dalla parte del bene, e un'aggressione diventa un atto eroico.
INVASIONE
È un dato di fatto per tutti, tranne che per la Cina, che infatti ieri per bocca della portavoce del ministro degli Esteri ha rifiutato il termine «invasione», condannando «l'uso preconcetto delle parole». Difficile definire «scaramuccia» l'ingresso di migliaia di soldati in un Paese straniero in testa a colonne di carri armati, ma questa uscita in apparenza grottesca segnala in realtà l'asse ormai sempre più saldo fra i regimi «diversamente democratici». «Invasione» diventa così come «genocidio» o «indipendenza», parole che diventano alternativamente feticcio o tabù e che dividono gli schieramenti. In tal senso, è chiaro con chi sta la Cina...
PREMEDITATA
Il fatto che il video di Putin fosse stato registrato già lunedì dimostra che Mosca non ha mai neppure pensato alla soluzione pacifica. Una risolutezza esibita: Putin ci tiene a svilire i suoi omologhi europei, dimostrando come i loro sforzi diplomatici fossero assolutamente inutili. «Guerra premeditata», l'ha definita Biden, aggiungendo un'aggravante all'azione russa. Tanto più la Russia tratteggia l'operazione come una reazione necessaria e causata dalle provocazioni ucraine, tanto più serve ristabilire la realtà: e cioè che l'annessione dell'Ucraina è da lungo tempo obiettivo di Mosca.
BARBARO
«Condanniamo questo barbaro attacco, Putin non sottovaluti la forza delle democrazie». Nel comunicato della presidente europea Von der Leyen, si rinvengono due sottotracce. L'aggettivo «barbaro», seppur ormai trasfigurato nel significato di «brutale», nella sua accezione originale indicava le genti straniere, i «balbuzienti» che non parlavano greco, e poi per estensione anche i popoli estranei all'Impero romano, tra l'altro spesso provenienti proprio da Est. Definire «barbaro» il condottiero Putin, da un lato esprime un disprezzo sorprendentemente poco politically correct, dall'altro pone l'Europa nella posizione di balulardo del diritto e della civiltà. Parallelamente, però, evocare la «forza delle democrazie» e la «resilienza», denota una sostanziale preoccupazione: ovvero che al di là della forza morale e della convinzione di essere nel giusto, l'Europa ha ben poche altre armi da utilizzare.
DITTATORE
Quando Mario Draghi definì in questo modo Erdogan, si sfiorò la crisi diplomatica con la Turchia. Il fatto che Boris Johnson invece dica che «bisogna fermare il dittatore Putin, anche militarmente», in questo momento potrebbe passare inosservato. Invece, dire chiaramente che il presidente russo è un autocrate tocca il tasto - sempre sensibile nel mondo anglosassone - dello scontro fra libertari e liberticidi. Con i dittatori non si tratta, come con i terroristi. Partire da questo assunto è un'implicita accettazione del fatto che la risposta deve essere adeguata.
IMPOSSIBILE
Per Draghi, a lungo accreditato di un ruolo di mediazione con il Cremlino, l'escalation ha dimostrato che «il dialogo è impossibile». Il che è forse la novità più sensibile dopo mesi di inevitabili ma stucchevoli richiami alla necessità della diplomazia.
Così l'Occidente prende atto che al momento la via dell'appeasement è impercorribile, che si è perso tempo (la storia dirà se colpevolmente, per scarsa risolutezza) e che davanti allo «spargimento di sangue» il dialogo perde importanza. Quando l'uomo che dialoga incontra l'uomo con il tank, l'uomo dialogante non se la passa troppo bene...
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