I 60 uomini dell'Usar che ha operato per sei giorni ad Antiochia ieri sono rientrati in Italia. Il comandante Nicola Cianelli è l'unico a non riposare.
Cosa l'ha colpita di più?
«L'estensione dell'area sismica: 6-700 chilometri, di 4-5 volte superiore a quanto è mai accaduto nei territori italiani. È il terremoto peggiore a cui abbiamo mai assistito».
Un grado di distruzione favorita anche dalla mano dell'uomo?
«Negli edifici ispezionati i solai non avevano elementi di alleggerimento. La tecnica costruttiva non garantiva una buona capacità di resistenza alle spinte orizzontali tipiche dei terremoti».
Ci sono accuse pesanti nei confronti dei costruttori.
«Alcune parti di cemento delle case erano di qualità diverse dai nostri standard. Più scadenti».
Cosa vi siete trovati davanti al vostro arrivo?
«Desolazione, morte, ma abbiamo trovato anche l'orgoglio di un popolo ferito, non spezzato. Sono rimasto colpito. Gente che ha perso tutto ci ha aiutato a trovare un posto per piazzare il campo base. Persone che avevano pochissimo cibo erano pronte a condividerlo con noi».
E le persone che avete salvato?
«Enorme riconoscenza. Un uomo di 32 anni, che abbiamo estratto dalle macerie, era commosso anche se aveva perso tutta la sua famiglia, moglie e figli. E uno dei due ragazzi che abbiamo salvato si è subito messo a disposizione per aiutare».
Dopo una settimana dal terremoto come vivono i sopravvissuti?
«Il rischio di epidemie non si può ancora escludere ma la situazione è migliorata. La prima notte la gente bivaccava per strada attonita. Ora si sono realizzate tendopoli, dotate di servizi di prima necessità, di gabinetti, di letti. Sono veri e propri paesi e la gente si sta organizzando per vivere in modo precario chissà per quanto tempo ancora».
Intanto si continua a scavare. Ci sono stati altri salvataggi dopo oltre 170 ore. Com'è possibile che si possa resistere così a lungo senza cibo né acqua?
«Può succedere quando nel crollo si creano sacche d'aria e la persona non è incastrata e non subisce traumi da compressione. Del resto, non ci sarebbe un sistema di risposta internazionale se non ci fossero delle speranze».
Tanti bambini sono rimasti orfani.
«Fa male al cuore. Ci sono tanti orfani ma anche tanti genitori senza più figli. Bisogna sostenere queste persone. E solo il supporto internazionale può assicurar loro un futuro migliore».
Al team italiano l'Onu ha assegnato il coordinamento di altre Usar.
«Dobbiamo gestire circa 600 uomini specializzati. Conosciamo i protocolli e le procedure che non si improvvisano. Siamo dotati anche di risorse tecniche e strumentistica sofisticata».
Siete i più bravi.
«La nostra professionalità è univocamente riconosciuta a livello internazionale».
Interventi così traumatizzano?
«Viviamo delle tragedie umanitarie che
non si scrollano di dosso con una doccia, Abbiamo visto morti, estratto bambini anche di 4 anni dalle macerie. Abbiamo visto gente perdere ogni riferimento della vita in pochi minuti. Sono traumi che vanno metabolizzati».
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