Alessandro Bertoldi, direttore esecutivo dell'Istituto Milton Friedman, è uno di quei lobbisti che girano fra i Palazzi della politica Ue, a cavallo tra mondo accademico e imprenditoriale. In queste settimane ha seguito da Parigi anche la campagna elettorale francese, sostenendo uno dei candidati delle circoscrizioni estere.
Le lobby hanno influenzato questa tornata?
«Assolutamente sì, ogni gruppo di pressione ha avuto un ruolo in questa campagna sostenendo un candidato o un partito, ancora di più in questo secondo turno. Basti pensare al ritiro di circa 200 candidati che, da terzi, hanno fatto desistenza per svantaggiare la destra lepenista nei ballottaggi».
Alla fine però votano i cittadini...
«Vero, ma nel caso francese le lobby sono determinanti. Hanno fatto sì che non tanto gli elettori quanto i partiti decidessero di rinunciare al ballottaggio in un accordo non programmatico, ma tattico-strategico, per far sì che i lepenisti non avessero la maggioranza assoluta in Parlamento. Un risultato che va a modificare a tavolino l'espressione della volontà popolare per com'è il sistema. Pure il centrodestra dei Républicains ha fatto questo gioco».
Qual è la lobby più influente in questo voto?
«Consideriamo la grandissima influenza dei Fratelli musulmani che per portare avanti il loro progetto politico hanno bisogno di terreno fertile. Sanno che con Le Pen e Bardella non avrebbero alcuna possibilità di ulteriore penetrazione nel sistema. Con Macron, parzialmente, con la sinistra di Mélenchon hanno un prateria davanti. Anche la lobby organizzata degli Lgbt aderisce quasi completamente alla gauche, poi c'è una parte del mondo finanziario che vuol mantenere lo status quo e vede comunque di buon occhio una parte della gauche».
Parte della comunità ebraica a cui siete vicini si è schierata contro la France Insoumise. Quanto contano questi appelli?
«Si parla spesso della lobby ebraica. in Francia ha un peso istituzionale ma numericamente è irrisorio, sia in termini elettorali che di influenza, tanto più in un momento in cui cresce l'antisemitismo e la presenza araba è di gran lunga superiore a quella ebraica, e la tifoseria filo-palestinese predominante. La comunità ebraica da una parte vede una destra che non sente affine, anche se ha dato garanzie nella lotta contro l'antisemitismo e nel sostegno a Israele. Turandoci il naso, forse la voteremo, dicono. La minaccia per loro è la sinistra di Mélenchon. Ma un loro appello spesso funziona all'inverso».
Macron si è indebolito. I cittadini lo accusano di essere distante dai reali bisogni dei cittadini. Ha più subìto l'attività di lobbying o ne è stato immune?
«Forse sull'economia l'ha più subita dal mondo finanziario. Abbiamo visto le proteste, agricoltori, imprenditori, lavoratori. Il problema non è l'influenza, ma la commistione con la politica. Nei suoi governi ha avuto ministri in chiaroscuro, dall'ex per la Transizione ecologia Wargon, già lobbista di Danone, all'ex premier Philippe. Sono stati una decina gli esponenti passati dal pubblico al privato e viceversa».
Ci sono lobbisti e affaristi. Pensiamo al ruolo del Qatar Oltralpe e dentro l'Ue col Qatargate. Come fate a distinguervi?
«Noi veniamo pagati per non pagare i politici. Il nostro obiettivo è convincerli con argomenti, analisi di mercato, demoscopiche, contesto normativo, semplifichiamo il quadro, siamo l'antidoto assoluto contro la corruzione».
Per domani ci sono già appelli alla mobilitazione anche violenta in Francia. Esiste una lobby del caos?
«Esiste, ne abbiamo prove dagli Usa alla Francia a Israele.
Gruppi che hanno interessi finanziari come quelli vicini a Soros hanno talvolta l'obiettivo di destabilizzare un Paese o un'economia per trarne vantaggio. Anche nel mondo dell'ambientalismo lobby pagano manifestanti e orchestrano piazze non spontanee. C'è chi specula dal caos».
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