Cambiano i colori ma la ristorazione continua a vedere nero. Facendo i conti, dopo la nuova ordinanza del ministro della Salute in vigore da oggi Coldiretti calcola che il fatturato del settore nel 2020 ne uscirà dimezzato, con una perdita complessiva di quasi 41 miliardi di euro. Due bar, ristoranti, pizzerie e agriturismi su tre infatti restano desolatamente chiusi, il che significa oltre 215mila locali situati nelle regioni rosse e arancioni, dove è proibita qualsiasi attività in loco. Il semaforo verde è ancora lontano, e lo scatto da rosso ad arancio non fa cambiare le regole: sola consegna a domicilio e asporto fino alle ore 22. Anche nelle zone gialle c'è poco da festeggiare. È vero, si torna a mettere le gambe sotto il tavolo nei 23mila locali della Sicilia e nei 13mila della Liguria, ma solo dalle 5 alle 18. Come dire niente cena, che in tempi di smart working e turismo straniero a zero era diventato di gran lunga il pasto più gettonato.
Una situazione insomma già fortemente compromessa, che potrebbe subire il colpo di grazia dallo stop durante le feste di Natale. Un piatto ricchissimo se si pensa che il solo mese di dicembre vale normalmente 7,9 miliardi di euro, ovvero il 20 per cento dei fatturati di un anno.
Vi chiederete: ma chi mai trascorre il Natale al ristorante? La risposta la dà Fipe-Confcommercio, la Federazione Italiana dei Pubblici Esercizi che calcola come l'anno scorso siano sfuggiti ai laboriosi preparativi per il cenone natalizio, affidandosi alle capaci mani dei cuochi degli 85mila locali aperti per l'occasione, ben 4,9 milioni di italiani, per una spesa totale di 270 milioni di euro.
Tutto ciò promette di andare in fumo con le regole del nuovo Dpcm, che prevedono il mesto coprifuoco alle 22 e ristoranti chiusi a Natale e Santo Stefano. Doversi togliere la mascherina per consumare evidentemente è considerata attività troppo pericolosa, e lo capiamo. Anche se sempre Fipe sostiene che «non esiste alcuno studio scientifico che dimostri che i ristoranti sono luoghi di contagio» in Italia, dove sono state seguite le regole di riduzione dei coperti e distanziamento. Va detto che comunque fin dallo scorso marzo le idee per restare sulla piazza e non far scordare i clienti di sé non sono mancate ai ristoratori. Il delivery ci mette una pezza, ma non riuscirà a compensare le perdite di fatturato. Il menu va comunque rivisto e semplificato perché non tutti i piatti «reggono» l'asporto. Poi c'è il panettone firmato, che quest'anno propongono tutti, dagli stellati all'ultimo bistrot aperto in tempi perigliosi. Si vende il vino che giace indisturbato nelle cantine ma anche il kit, quel bricolage gastronomico che ormai imperversa in questo distopico 2020: in pochi minuti permette di prepararsi a casa di tutto, dai ravioli in brodo alla pasta al ragù ma anche un cocktail, magari con corredo di stuzzichini gourmet. E poi confetture e sottaceti, verdure in salamoia e praline. Al ristorante, per le feste, si vendono anche buoni regalo per corsi di cucina, per quando si potrà. Così, per necessità, ci si trasforma in enoteche, gastronomie e qualcuno pure in fruttivendolo.
Son palliativi, certamente, tanto che la richiesta delle associazioni di categoria resta tranchante: «Se si vuole impedire ai ristoranti di lavorare a cena, bisogna compensare le perdite al 100 per cento, basandosi sui fatturati dello scorso dicembre», chiede Fipe.
Resta il fatto che, dopo anni di celebrity chef e maître a penser con la toque, e la sensazione di essere diventati la seconda casa degli italiani, e pure l'ufficio che si è aggiunto al tradizionale ruolo di confessionale, gli oltre 330mila locali italiani si preparano ad affrontare il Natale più difficile.
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