Difesa comune, sì dei 27. Ma Orbán si sfila su Kiev

Adottate le conclusioni sul riarmo, Budapest non vota l'integrità territoriale Ucraina. Von der Leyen. "Ue in pericolo". Asse Roma-Berlino-Varsavia

Difesa comune, sì dei 27. Ma Orbán si sfila su Kiev
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Giorni di rumors, due settimane e mezzo di iniziative in formato puzzle, e finalmente, ieri, tutti e 27 capi di Stato e di governo faccia a faccia. Attorno al tavolo del Consiglio europeo straordinario, l'Ue al gran completo sgrana il «rosario» costituito dai 5 punti del piano ReArm Europe messo in campo da Von der Leyen.

«È un momento spartiacque, l'Europa è in pericolo ed è importante difendersi», dice la presidente della Commissione facendo da megafono a quanto già detto ai francesi da Macron. C'è anche il presidente ucraino, a Bruxelles, arrivato accompagnato dalla stessa Ursula e dal presidente del Consiglio europeo Costa. Zelensky ringrazia per «il nuovo programma a favore della sicurezza, sentiamo di non essere soli». Ma divisi sì, ancora.

Secondo Ursula, «l'Ucraina è parte della famiglia europea». Al momento, nello spirito. E neppure di tutti. Tocca ai leader affrontare dunque i nodi cruciali dell'offerta messa in campo dalla Commissione per spendere di più in difesa (fino a 800 miliardi) senza incorrere in procedure di infrazione. Il summit aperto dall'annuncio roboante di Costa («Siamo qui per prendere decisioni per costruire la difesa comune, la sicurezza dell'Europa non è separata dall'Ucraina») cozza con i distinguo. Sin da subito si capisce che la difficoltà è far digerire al premier ungherese Orbán e allo slovacco Fico (che si ammorbidisce grazie a un'apertura sull'approvvigionamento di gas) l'impostazione scelta da Von der Leyen e Macron per aprire i rubinetti del ReArm Europe: «È un piano che aiuterà l'Ucraina, gli Stati potranno investire nell'industria della difesa o procurarsi equipaggiamenti militari e darli all'Ucraina». Legando però l'operazione «riarmo» alla richiesta di compattarsi al fianco di Kiev con aiuti, l'unanimità salta. Si adottano infatti conclusioni solo sulla parte difesa Ue: col via libera dei 27 al piano «ReArm». Von der Leyen, Costa e Macron (che alla vigilia ha invitato Orbán a Parigi) volevano piazzare pure l'unanimità sull'integrità territoriale di Kiev: il documento comune si trasforma in una mera dichiarazione di Costa, votata a 26. Orban si sfila. Resta la difesa comune. Tutti favorevoli all'idea, ma non quella che vuole Macron. La premier Meloni va in pressing nella riunione per cambiare nome al piano. Fuorviante ma promosso comunque da Roma, con «tecnicalità» da chiarire. Per la premier non è solo una questione bellica, si tratta di infrastrutture per la sicurezza, intelligence e cyber, e di procedure accelerate per le catastrofi (Tajani lega per esempio la difesa europea anche agli interventi della Protezione civile). Poi Meloni al summit mette sul piatto l'idea di contabilizzare gli investimenti del piano alla voce contributi Nato, rendendolo una prova di autonomia europea, ma anche di collaborazione e ascolto con gli Usa. Sintonia con Varsavia e Berlino. Facoltativo resta l'uso dei fondi di coesione, con la certezza che Roma non pescherà lì per la difesa. Zelensky lascia Bruxelles dopo il pranzo con i leader e prima del summit vero e proprio; ma non prima d'essersi seduto con Macron per un bilaterale.

La Francia (oltre alla Gran Bretagna) gli sta fornendo intelligence militare dopo che Washington ha annunciato che avrebbe congelato la condivisione di informazioni con Kiev. Nel colloquio Parigi-Kiev, c'è anche il ricorso francese alle risorse minerarie da impiegare nell'industria bellica d'Oltralpe nello scenario disegnato dall'Eliseo.

Appuntamento nella capitale francese l'11 marzo, con i vertici militari dei Paesi pronti a partire boots on the ground una volta siglata la pace per garantirla. Il Regno Unito ha avuto colloqui preliminari con circa 20 Paesi in larga parte europei e del Commonwealth per un'adesione a una «coalizione dei volenterosi». Scettiche, sul punto, Roma e Madrid.

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