«Porterò una goccia d'acqua di legalità, voglio portarla fino alle sue estreme conseguenze»: l'arringa dell'avvocato Giovanni Caruso è un'occasione non persa per ribadire il principio del diritto di difesa, chiunque si trovi sul banco degli imputati. Caruso è insieme alla collega Monica Cornaviera il legale di Filippo Turetta, che rischia l'ergastolo per l'omicidio di Giulia Cecchettin, e ieri davanti alla Corte d'assise di Venezia ha sottolineato la difficoltà e il dovere di difendere un assassino reo confesso.
Ieri l'imputato era in aula. «Io sono il colibrì - ha continuato l'avvocato -, voi siete il leone, non abbandonate la foresta in fiamme. Non dovete comprendere Filippo, dovete mettere un argine, quello della legalità». Non è un processo indiziario, ha detto, ma un processo in cui c'è da decidere solo la condanna di Turetta. «Oggi ho un compito non facile: assistere, difendere un imputato reo confesso di un omicidio efferato, gravissimo e altri reati satellite. Assisto un giovane ragazzo che ha ucciso una giovane ragazza privandola della vita, dei ricordi, dei sogni, delle speranze, dei progetti e la priva di tutti i legami che la univano alle persone che l'amavano e aveva riposto in lei aspettative di un futuro radioso». Poi il difensore, parlando per oltre tre ore, ha contestato la richiesta della Procura del carcere a vita e le aggravanti di cui è accusato Turetta (implicitamente, quindi, chiedendo di non condannarlo all'ergastolo): «Davvero credete che voglia evitare l'ergastolo? Dico una cosa un po' triste, ma l'unico ambiente in cui Filippo Turetta può incrociare umanità ed essere considerato un essere umano sono i compagni di cella perché vivono di una umanità compromessa. La società non è pronta oggi per ospitare Filippo Turetta, questa è la realtà ed è giusto così: la pena significa tempo e lui è consapevole che gran parte della sua vita la trascorrerà in carcere». Ancora: «A Filippo Turetta interessa e ha interessato avere un comportamento processuale corretto e accetterà, e non gli interessa, se avrà l'ergastolo». Tuttavia: «L'ergastolo è da molto tempo ritenuto una pena inumana e degradante, le pene devono tendere alla rieducazione del condannato. L'ergastolo è il tributo che lo stato di diritto paga alla pena vendicativa». Sull'imputato: Turetta «non è Pablo Escobar. Chiunque è in grado di percepire che se c'è una personificazione dell'insicurezza e della mancanza di personalità è Filippo». Per questo «ha un'incapacità strutturale di premeditare alcunché». Non solo: «Filippo non sa cosa sia una relazione affettiva».
E l'omicidio è stato «efferato, ma non c'è l'aggravante della crudeltà». Si è trattato «di un'aggressione a cortocircuito, nel momento in cui ha agito lo ha fatto in preda all'emotività, in uno stato di alterazione emotiva».
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