Digiuno e preghiera sono le «armi» per stabilire la pace al confine tra Ucraina e Russia. Dopo 48 ore dalla firma con cui il presidente Vladimir Putin ha riconosciuto le repubbliche separatiste nel Donbass, il Papa scende in campo e lancia un forte appello perché tacciano le armi. «Ho un grande dolore nel cuore per il peggioramento della situazione nell'Ucraina», chiosa Francesco al termine dell'udienza generale del mercoledì. «Nonostante gli sforzi diplomatici delle ultime settimane si stanno aprendo scenari sempre più allarmanti. Come me tanta gente in tutto il mondo sottolinea con una voce rotta dalla sofferenza - sta provando angoscia e preoccupazione. Ancora una volta la pace di tutti è minacciata da interessi di parte». Da qui l'appello ai responsabili politici affinché «facciano un serio esame di coscienza davanti a Dio», al «Dio della pace e non della guerra», al Dio che «ci vuole fratelli e non nemici».
La preghiera come arma per riportare il dialogo e il negoziato tra le parti. «Prego tutte le parti coinvolte aggiunge il Pontefice argentino - perché si astengano da ogni azione che provochi ancora più sofferenza alle popolazioni, mettendo a rischio la convivenza tra le nazioni e screditando il diritto internazionale». Il Papa indice dunque una Giornata di Digiuno, il 2 marzo, mercoledì delle ceneri, che dà inizio alla Quaresima. «Invito tutti a fare una giornata di digiuno per la pace. Incoraggio in modo speciale i credenti perché in quel giorno si dedichino intensamente alla preghiera e al digiuno».
L'appello alla pace è giunto anche da Firenze, dove sono riuniti i vescovi italiani per un summit su «Mediterraneo frontiera di pace». «La guerra è impossibile nell'era atomica, occorre trovare altre soluzioni per dirimere le questioni che dividono i popoli: non c'è alternativa al negoziato globale», ha sottolineato il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, citando Giorgio La Pira.
Preghiera e digiuno, ma anche una diplomazia vaticana che lavora sotto traccia e potrebbe portare i frutti sperati. Il 15 febbraio il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, aveva telefonato all'arcivescovo maggiore di Kiev, per esprimere la vicinanza della Santa Sede alla Chiesa cattolica in Ucraina e la solidarietà alla popolazione del Paese.
La mente torna al 2013, quando Papa Francesco inviò una lettera a Putin, in occasione del G20 sulla Siria, in cui invocava la fine delle violenze. «Basta massacri, no alla via militare», scrisse Bergoglio nella missiva. Da più parti arrivarono appelli alla pace, ma quello del Pontefice convinse il Cremlino a non proseguire sull'offensiva militare. Chissà che anche questa volta, il Papa non induca Putin a non procedere nell'invasione nei territori ucraini.
Di sicuro la tensione bellica si è ripercossa sul Vaticano. Tanto che entrambi i Paesi hanno fatto giungere oltretevere inviti paralleli affinché Francesco possa visitare Mosca o Kiev. Sviatoslav Shevchuk, capo della chiesa greco-cattolica ucraina, ha evocato la possibilità di un eventuale viaggio del Papa in Ucraina durante un incontro con diplomatici europei, mentre l'ambasciatore russo presso la Santa Sede, Alexander Avdeev, aveva annunciato che un «incontro fra Papa Francesco e il patriarca Kirill è attualmente in fase di preparazione.
Molto probabilmente avverrà fra giugno e luglio». Bergoglio incontrò il patriarca di Mosca e di tutte le Russie - una prima storica - all'aeroporto dell'Havana, a Cuba, nel 2016. Certo, il viaggio di un Pontefice in terra russa resta ancora un sogno.
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