Si volta pagina. «Lo si capisce anche dagli applausi: Mattarella toccava i temi incandescenti della giustizia - spiega l'ex sindaco di Milano Giuliano Pisapia, uno dei più noti penalisti italiani, oggi europarlamentare del Pd - e tutto il Parlamento batteva le mani, come di solito si fa solo per le commemorazioni».
Onorevole Pisapia, allora il cantiere della giustizia si rimette in moto?
«C'è un passaggio che mi ha colpito molto. Il presidente ha detto chiaro e tondo che i cittadini non devono più avvertire timore per il rischio di decisioni arbitrarie che, in contrasto con la doverosa certezza del diritto, incidono sulla vita delle persone. Ecco, siamo al punto che gli italiani hanno paura dei giudici, delle loro decisioni talvolta incomprensibili, dell'altalena dei processi e delle sentenze».
Tutto questo deve finire.
«Mattarella si mette dalla parte dei cittadini, delle loro aspettative frustrate da troppo tempo, e rivolge così un appello energico al Parlamento: riforme e riforme in tempi rapidi».
Si, ma quali sono le priorità?
«Vanno fissate una volta per tutte le garanzie per gli indagati che spesso finiscono in custodia cautelare. Ecco, il carcere dev'essere l'estrema ratio. E più in generale, l'asticella dei diritti non deve mai scendere nel corso dei processi».
Insomma, qualcosa di più rispetto alla solita litania sulla lentezza dei dibattimenti?
«Quello è un altro tema nevralgico, nel penale e forse ancora di più nel civile, ma qui si guarda a un orizzonte molto più ampio. È un discorso di civiltà e, se mi si permette, queste frasi così nette e incisive costringono a riflettere sulla presunzione di innocenza, su cui pure si sta lavorando dopo la risoluzione della Ue. La presunzione di non colpevolezza fino alla sentenza definitiva di condanna non può essere una formula astratta, appesa nel nulla».
Si occupa di giustizia da molti anni. Usciremo dalla palude degli scandali e delle lottizzazioni?
«Io non ho mai sentito Mattarella parlare con tanta forza e precisione di giustizia. Qualcuno ha evocato un'amnesia nel discorso di fine anno, ma oggi, all'inizio del secondo mandato, le sue parole sono uno spartiacque».
Anche rispetto alla crisi drammatica del Csm?
«C'è un passaggio ad hoc nel discorso del presidente che non può essere equivocato. A proposito del Csm, Mattarella afferma che devono essere superate logiche di appartenenza che, per dettato costituzionale, devono rimanere estranee all'Ordine giudiziario. Più chiaro di così. Basta con gli scambi sottobanco fra le correnti nella cornice di Palazzo dei Marescialli. Non vorrei essere per una volta troppo ottimista, ma credo che siamo all'inizio di una nuova stagione di cambiamento».
La giornata porta anche un incontro fra il premier Draghi e la ministra Cartabia, proprio sul versante del Csm.
«Mi pare un ottimo segnale: si era notato un certo rallentamento del governo nelle ultime settimane sulle materie della giustizia, qualcuno diceva che Draghi non ne voleva sapere di affrontare la questione. Oggi si riparte e i cittadini non possono essere delusi dalla classe politica, pur fra divergenze e legittimi punti di vista diversi. Mi sembra che, fra le righe, il presidente abbia anche voluto riaffermare la centralità del giudice, al di sopra delle parti, terzo, come si dice, fra pm e avvocato. E anche questa sensibilità non può che spingere il Parlamento a prendersi le sue responsabilità e ad agire».
Mattarella chiama in causa, insieme, magistratura e avvocatura. Sorpreso?
«È un'altra novità e la dimostrazione che non possono più esserci alibi di tipo politico o corporativo per mettersi di traverso.
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