La decisione del ministro Giuseppe Valditara di delineare nuove linee guida per i programmi scolastici di Educazione civica sta suscitando molte reazioni negative. Si può discutere, ovviamente, l'idea di avere programmi nazionali, definiti dal ministero, e anche il fatto stesso che nelle scuole si debba insegnare una materia come questa, che punta a legare il giovane alle istituzioni esistenti. È però interessante rilevare come gli attacchi della sinistra si concentrino in larga misura oltre che sui riferimenti alla patria sul fatto che nei programmi si fa riferimento all'impresa privata e al senso del dovere.
D'altra parte, da decenni l'istruzione è appannaggio di una cultura (quella di sinistra) e di un gruppo sociale (i docenti statali) che per varie ragioni sono avversi all'economia di mercato e a quel tipo di rigore che caratterizzava la scuola nel passato. Un ministro dell'Istruzione che chiede alle scuole di riconoscere il ruolo della libera impresa, della concorrenza e dell'iniziativa privata può soltanto infastidire la grande armata dei docenti di Stato. Nella mente di quanti educano i nostri figli prevale la tesi che ciò che è «pubblico» è bene, per definizione, mentre il «privato» è associato all'egoismo, allo sfruttamento, al disprezzo per la natura, al cinismo.
In un volume che sarà nelle librerie a settembre, edito da Liberilibri e scritto assieme a due colleghi (Andrea Atzeni e Marco Bassani), è presentato esattamente quanto il declino economico italiano, ormai pluridecennale, sia in stretta relazione con quanto viene insegnato ai giovani. Abbiamo voluto mostrare che la scuola italiana sia dominata da una prospettiva profondamente ostile al capitalismo, con un'enorme attenzione non soltanto alle tesi marxiste, ma anche a quella cultura politica variamente progressista che avversa la Rivoluzione industriale, esalta il welfare State, prospetta un'imminente disastro a causa dei cambiamenti climatici, ritiene che la crescita demografica sarebbe pericolosa, sposa le tesi della gender theory e via dicendo.
La visione di coloro a cui tutti noi siamo obbligati a consegnare la formazione dei figli, se non abbiamo le risorse per optare per una scuola privata (e il loro numero sta riducendosi sempre più), non crede affatto che la proprietà sia un diritto da rispettare se non vogliamo entrare in una giungla in cui prevale il più forte e che l'impresa sia quello strumento che molti tra noi possono utilizzare per mettersi al servizio delle esigenze altrui.
D'altra parte, l'universo della scuola è piuttosto monolitico e, non bastasse questo, è dominato da una visione dogmatica, che considera ogni obiezione come immorale e inaccettabile. In tal senso è anche comprensibile che le scelte di Valditara abbiano suscitato tante vive contestazioni.
Cosa può però produrre di positivo questa presa di posizione del ministro? La speranza è che da qui, al di là delle varie questioni più o meno marginali, possa nascere una discussione autentica sulla scuola, sulla centralità dei diritti degli studenti e delle loro famiglie, sull'esigenza di passare da una visione statocentrica a una plurale, che veda istituti autonomi proporre percorsi educativi differenti.
Se evocare l'impresa privata suscita simili reazioni, è chiaro che c'è del marcio nelle aule delle nostre scuole.
Ed è egualmente evidente che bisogna iniziare a porre mano a cambiamenti strutturali, i quali consentano l'emergere di esperienze nuove, in grado di offrire alle famiglie e ai giovani un'educazione di altro tipo, e non il solito lavaggio del cervello dettato da ideologie ormai stantie.
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