Draghi benedice i dazi: "L'Europa deve tutelarsi"

L'ex presidente Bce: "Bisogna riparare i danni causati dall'eccesso di import da Russia e Cina"

Draghi benedice i dazi: "L'Europa deve tutelarsi"
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«L'Europa ha tratto grandi benefici dall'integrazione» economica con Nord America e Asia. L'Europa deve «cercare di riparare al più presto i danni all'ordine commerciale multilaterale» anche attraverso l'imposizione di dazi e tariffe sulle importazioni. A pronunciare entrambe le frasi è stata la stessa persona: l'ex premier e presidente della Bce, Mario Draghi. La prima cinque anni fa al conferimento della laurea ad honorem all'Università di Bologna. La seconda ieri nel discorso di ringraziamento per il Premio Carlo V assegnatogli dal re di Spagna Filippo VI.

Per quanto possa apparire una contraddizione, non è cambiato Mario Draghi, rimasto convintamente europeista. È cambiato il contesto esterno: se cinque anni fa il problema del mercato unico erano le chiusure minacciate dai populismi, oggi la priorità è correggere i difetti di un sistema disfunzionale. Non è cambiata, infatti, la risposta: l'Europa deve restare unita e deve trovare nuove strade per proseguire un cammino che ciascuno dei 27 Paesi non può compiere da solo. «Il precedente paradigma che sosteneva i nostri obiettivi comuni sta scomparendo», ha detto ricordando che «l'era del gas importato dalla Russia e del commercio mondiale aperto sta svanendo». Per far fronte a questi cambiamenti, ha proseguito, «dovremo crescere più velocemente e meglio. E il modo principale per ottenere una crescita più rapida è aumentare la nostra produttività». Anche perché solo l'aumento della ricchezza può garantire agli europei «alti livelli di protezione sociale e di ridistribuzione», cioè quel fondamento «non negoziabile» dello Stato sociale che il neokeynesiano Draghi ha sempre considerato positivamente.

Partiamo dalla fine del discorso dell'ex governatore di Bankitalia perché i fondamenti iniziali sono noti e faranno parte del rapporto sulla competitività richiestogli dalla Commissione Ue e che dovrebbe pubblicare il mese prossimo. La tesi di fondo è che la globalizzazione stia attraversando una profonda crisi perché i partner storici come Russia e Cina sono, da una parte (Mosca), politicamente meno affidabili e, dall'altra parte (Pechino), mettono a rischio i nostri posti di lavoro con produzioni che non sempre sono di elevato contenuto tecnologico e dunque non strettamente necessarie. Ecco, dunque, la necessità di «incoraggiare gli investimenti esteri diretti, in modo che i posti di lavoro nel settore manifatturiero rimangano in Europa», ha sostenuto Draghi. Infine, un'ulteriore risposta dovrebbe essere «l'utilizzo di sussidi e tariffe per compensare gli ingiusti vantaggi creati dalle politiche industriali e dalle svalutazioni dei tassi di cambio reali all'estero». L'approccio, ha avvertito, «deve essere pragmatico, cauto e coerente», cioè occorre «distinguere l'innovazione genuina e i miglioramenti della produttività all'estero dalla concorrenza sleale» ed «evitare di creare incentivi perversi che minano l'industria europea».

Come detto, questa importante novità è parte di una ricerca più ampia svolta da Draghi sui difetti del sistema economico Ue. Manca una «vera politica economica estera» che consenta accordi con Paesi ricchi di risorse o che favorisca investimenti diretti in settori tecnologici determinanti per lo sviluppo. Non meno importante sarebbe la creazione di «un bilancio federale» per rispondere in maniera unitaria alle sfide della transizione ecologica e digitale. «Trarremmo enormi benefici da una qualche forma di finanziamento comune, ma non voglio ribadire oggi cose che ho detto più volte in passato», ha sottolineato Draghi, desideroso di non alimentare ulteriori polemiche con l'asse dei frugali.

Oltre alle politiche che incentivino la produttività del lavoro (inclusa una migliore formazione), deve infine cambiare l'Antitrust che «deve agevolare

la scalabilità in base all'evoluzione del mercato e dei contesti geopolitici». La difesa dei «nani» europei, anche in ambito hi-tech, da parte della commissaria Vestager non è la giusta soluzione per far crescere l'Europa.

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